giovedì 21 luglio 2016
Un settore agricolo in crisi e l’impegno a rilanciarlo. Oggi la materia prima per la pasta viene pagata anche 18 centesimi al chilo, mentre quella per il pane è scesa a 16 centesimi: valori che non ripagano i costi di produzione.
Guerra del grano non è in gioco solo il prezzo
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Prezzi quasi dimezzati, agricoltori contro industriali, manifestazioni di piazza, la qualità dei nostri prodotti alimentari messa a rischio, il governo che corre ai ripari. Sono gli ingredienti fondamentali per un’altra 'guerra agricola', quella del grano questa volta, che sembra essere scoppiata nel Paese. Ultimo esempio di quanto siano delicati, e globali, gli equilibri dei mercati agroalimentari e di quanto poco basti a farli saltare. Ieri qualche migliaio di coltivatori della Coldiretti si è recato sotto la sede del ministero delle Politiche agricole, e la giornata di mobilitazione si è conclusa con 10 milioni di euro messi a disposizione dal governo per un piano di interventi mirati. Il succo sta sempre nello squilibrio fra produzione e prezzi. «Speculazioni», dicono gli agricoltori, «necessità produttive», dicono gli industriali. Stando a Coldiretti, i prezzi del grano a luglio sono crollati del 42% rispetto allo scorso anno. Il prezzo del grano è più basso di quello di 30 anni fa e sta provocando «una crisi senza precedenti». Alla base del problema non è solo la quantità prodotta, ma anche il fatto che «le quotazioni dei prodotti agricoli dipendono sempre meno dall’andamento reale della domanda e dell’offerta e sempre più dai movimenti finanziari e dalle strategie speculative che trovano nel Chicago Board of Trade il punto di riferimento del commercio mondiale delle materie prime agricole su cui chiunque può investire anche con contratti derivati». Il risultato è che oggi il grano duro per la pasta viene pagato anche 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura ai 16 centesimi: valori che non ripagano i costi di produzione. Detta in altri termini, ci vogliono 5 chili di grano per acquistare una tazzina di caffè. Ma c’è anche dell’altro. Che la pasta italiana non sia fatta tutta con grano nostrano, è cosa già nota. Adesso però le importazioni di materia prima stanno assumendo dimensioni giudicate non sopportabili dai coltivatori. È qui che i produttori tirano in ballo la speculazione. Gli arrivi dall’estero, spiega Coldiretti, «si concentrano nel periodo a ridosso della raccolta e influenzano i prezzi delle materie prime nazionali anche attraverso un mercato non sempre trasparente». L’Italia nel 2015 ha importato circa 4,3 milioni di tonnellate di frumento tenero mentre sono 2,3 milioni di tonnellate di grano duro che arrivano dall’estero. Il risultato – dice ancora Coldiretti – è che è fatto con grano straniero più di un pacco di pasta su tre e più della metà del pane in vendita in Italia, ma i consumatori non lo possono sapere perché non è ancora obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Comportamenti «da caporalato», commenta la Cia-Confederazione italiana agricoltori. A far arrabbiare i coltivatori ci sono poi due Paesi in particolare: l’Ucraina e il Canada. Il primo ha praticamente quadruplicato (+315%) le vendite di grano tenero in Italia; il Canada è invece il primo esportatore di grano duro nel nostro Paese e ha accresciuto le vendite del 4% (che fra l’altro beneficerebbero di dazi zero mentre la nostra pasta entra in Nord America pagando una tassa dell’11%). Tutto senza contare i dubbi circa la salubrità del grano in arrivo dai Paesi dell’Est. A conti fatti, le importazioni di grano duro e tenero in Italia sarebbero aumentate del 14% nel primo trimestre del 2016 rispetto all’anno precedente ma, spiegano i produttori, «la dipendenza dall’estero determinata dall’insufficiente remunerazione della produzione nazionale potrebbe ulteriormente aggravarsi». A complicare tutto c’è anche l’andamento dei mercati internazionali. Secondo Italmopa (che riunisce tutti i molini italiani), nel 2015 l’indice Fao dei prezzi del frumento ha fatto segnare una flessione di oltre 29 punti. Sempre la Fao indica però quanto sia contraddittoria la situazione mondiale. In Africa, infatti, uno degli ultimi rapporti parla di «una caduta nella produzione» dei cereali; in Africa Centrale e Occidentale le prospettive dei raccolti permangono incerte a causa del clima sfavorevole e dei conflitti. Ma gli industriali non ci stanno. Italmopa nella sua assemblea annuale ha fatto notare come la produzione nazionale non sia sufficiente a coprire il fabbisogno delle industrie di prima trasformazione.  E, mentre andava in scena la manifestazione degli agricoltori sotto le finestre del ministro Maurizio Martina, i rappresentanti dell’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi), spiegavano in una audizione alla Commissione XIII della Camera che la guerra del grano si vince solo con la qualità. Caratteristiche che il raccolto italiano non sempre ha a sufficienza (osservazione che ovviamente i coltivatori respingono al mittente).L'Associazione dei pastai ha poi spiegato che non è l’industria della pasta a determinare il prezzo del grano duro, a farlo è il mercato globale. E non è vero che quest’anno la pasta italiana potrebbe essere fatta solo con grano nazionale, visto che la qualità del raccolto 2016 è complessivamente medio-bassa e le importazioni saranno quindi necessarie per garantire ai consumatori una pasta di qualità: «Siamo disposti a cercare soluzioni e a trovare efficaci rimedi – dicono i pastai – ragionando congiuntamente con tutte le componenti di filiera sulle problematiche endemiche del mondo agricolo italiano: polverizzazione della produzione, strutture di stoccaggio inadeguate, qualità delle produzioni non sempre allineate alle esigenze qualitative dell’industria». La formula magica pare essere quella degli accordi di filiera per «dare agli agricoltori una corretta pianificazione della produzione, con la giusta remunerazione e con meccanismi premiali in presenza di parametri qualitativi prestabiliti, in linea con le esigenze dell’industria». In gioco, non solo il buon nome di alcuni dei prodotti che tutto il mondo ci invidia – pasta e pane, appunto – ma anche il destino di oltre trecentomila aziende agricole e di un territorio di 2 milioni di ettari a rischio desertificazione». Per ora intanto una pezza è stata messa dal Governo. Con le urla degli agricoltori nelle orecchie, il governo al Tavolo cerealicolo convocato d’urgenza ha comunicato «alcune proposte operative per un intervento complessivo sul settore». Sei mosse che partono da 10 milioni di euro per dare avvio a un organico piano nazionale cerealicolo e sostenere investimenti anche infrastrutturali per valorizzare il grano di qualità 100% italiano. Poi la creazione di una Commissione unica nazionale per il grano duro per avviare un dialogo interprofessionale e rendere più trasparente la formazione del prezzo; e ancora la conferma degli aiuti europei per il frumento che equivalgono a circa 70 milioni di euro all’anno fino al 2020. Ancora, il rafforzamento dei contratti di filiera (con a disposizione 400 milioni di euro), la creazione di un 'marchio unico volontario' per grano e prodotti trasformati per dare maggiore valore al grano di qualità certificata, che rispetti il disciplinare del sistema di qualità. Infine, l’avvio di una sperimentazione per arrivare a un nuovo strumento assicurativo per garantire i ricavi dei produttori proteggendoli dalle eccessive fluttuazioni di mercato. Obiettivo generale: avvicinare il traguardo della pasta al 100% italiana. Parzialmente soddisfatti gli agricoltori con Coldiretti che però dichiara: la guerra continua. Intanto, vale quanto scritto su uno dei cartelli esposti dai coltivatori ieri: «Il giusto pane quotidiano».
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