Perché la pace metta (davvero) radici
sabato 21 ottobre 2023

La questione della pace sta diventando il tema centrale in questi giorni drammatici e travagliati e non può che essere così. Tutti ci misuriamo, anche nella quotidianità, con una domanda: cosa possiamo fare, noi, per promuoverla e costruirla?
Proviamo in questo caso a considerare il problema dalla prospettiva dell’economia comportamentale e più in generale dalla teoria dei giochi. Iniziamo da un semplice quiz a risposta multipla. È stato detto «se qualcuno ti percuote la guancia destra...». Il lettore può provare a indovinare scegliendo tra tre possibili risposte: a) «Distingui chiaramente chi è l’aggredito e chi è l’aggressore»; b) «Pensa a una risposta esemplare»; c) «Porgi l’altra guancia». Conosciamo la risposta che ci è stata tramandata. Ammetto di aver spesso pensato, come sovente accade leggendo i racconti della predicazione di Gesù, che si trattasse di un’iperbole buonista, magari di qualcosa da considerare come un orizzonte a cui tendere, ma non una strategia immediatamente applicabile alla durezza delle scelte di fronte alle quali la vita di tutti i giorni ti mette di fronte.

E invece stamattina ho capito che c) è la risposta non più “buona”, ma più intelligente e lungimirante, la prima fase di una strategia di de-escalation in grado di avviare il processo di pace. Perché la guerra e la violenza si disinnescano con gesti di pace, alzando il piede dall’acceleratore della tensione e della rabbia (provate a pensare ad esperienze personali di fronte a rischi di risse che tutti abbiamo vissuto magari per un diverbio in mezzo al traffico). Al converso, è del tutto evidente che una risposta di forza, decisa e proporzionata sullo stesso registro di quello dell’aggressione, non fa che soffiare sulla brace della violenza, assicurandoci qualche altro secolo di rancori e odi. Allo stesso tempo, la storia economica insegna che per mettere le radici di un vero processo di pace (ricordiamo quanto successo dopo la Prima guerra mondiale col trattato di Versailles e il peso del debito di guerra sui tedeschi) non bisogna umiliare economicamente i vinti e gli sconfitti, perché il benessere economico è una ricetta formidabile per disinnescare i conflitti. Il dibattito sul tema di questi tempi, non solo nel nostro Paese, è preoccupante. Lo è perché la stragrande maggioranza del tempo e delle energie vengono spesi nel chiedere a ciascuno di pronunciarsi sulla prima risposta e nell’identificare i possibili non allineati che confondono aggrediti e aggressori.

Viviamo spesso la brutta copia della povertà di questo dibattito sui social, quando li usiamo solo per scegliere schieramenti e bandierine. Assistiamo tuttavia, nella stessa agorà digitale, anche a riflessioni sincere e profonde di molti che contribuiscono a creare opinione pubblica e comune sentire. Nonostante i tanti elementi che non suscitano speranza, gli operatori di pace nella nostra società esistono e sono all’opera. Dai politici e diplomatici che si sforzano in questi momenti di trovare accordi e di promuovere trattative fino alle iniziative di semina e non solo della società civile. Pensiamo ad esempio all’esperienza di Rondine Cittadella della Pace, che da molti anni porta avanti con successo scuole di formazione riservate a giovani di Paesi in conflitto tra di loro – israeliani e palestinesi, russi e ucraini – o all’iniziativa dei corpi civili di pace, raccontata spesso su queste colonne, grazie alla quale nascono gemellaggi tra Comuni italiani e ucraini e si punta a una legge che istituzionalizzi il ruolo di “caschi blu” della società civile nella costruzione di corpi d’interposizione per prevenire conflitti in zone difficili o per gestire la delicata fase del dopoguerra. La cultura della risposta esemplare che perpetua la violenza e istiga al martirio i terroristi non è né umana né lungimirante. E non rappresenta in alcun modo la frontiera della nostra civiltà. È solo attingendo all’umanità nelle sue forme più alte e tornando alle radici della nostra saggezza che possiamo provare, anche personalmente, a scongiurare la catastrofe e trovare la via d’uscita.

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