martedì 18 ottobre 2022
La grande richiesta di Gnl e l’aumento dei prezzi sta dirottando le esportazioni verso gli Stati che possono pagare subito e meglio. Al buio Paesi come Pakistan e Bangladesh
Il rigassificatore galleggiante Bw Singapore acquistato da Snam

Il rigassificatore galleggiante Bw Singapore acquistato da Snam - Ansa

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Dopo i cereali, il conflitto in Europa in continua escalation sta facendo sentire i suoi effetti sul Sud del mondo, anche rispetto al gas. L’Unione Europea si è posta l’obiettivo di porre fine alla dipendenza dal gas russo, riducendo in tempi brevi le importazioni dalla Russia da 140 a 100 miliardi di metri cubi, tramite un piano di compensazione coperto per il 15% da risparmi energetici, il 25% da energie rinnovabili, il 10% da maggiori forniture di gas da parte di Norvegia, Algeria Azerbaijan, il 50% da maggiori acquisti di Gnl. Ed è proprio quest’ultimo ad avere gli effetti peggiori sui Paesi del Sud del mondo specie quelli del continente asiatico.

Gnl è l’acronimo di Gas naturale liquefatto (o Liquified Natural Gas, Lng), il gas trasportato via nave, che è liquefatto al momento dell’imbarco e rigassificato nei Paesi di sbarco. Esso rappresenta circa il 50% di tutto il gas esportato nel mondo, l’altra metà è fatta viaggiare via gasdotti. Il maggiore esportatore al mondo di gas liquefatto è l’Australia, seguita da Qatar, Stati Uniti d’America e Russia. Nel 2021 il maggiore importatore è stata la Cina seguita da Giappone e Corea del Sud che assieme importano oltre il 50% di tutto il gas liquefatto commercializzato a livello mondiale. Quanto all’Europa, ivi comprese Gran Bretagna e Turchia, nel 2021 ha assorbito solo il 22% delle esportazioni mondiali. Ma l’Iea, l’Agenzia Internazionale per l’Energia ci informa che nei primi otto mesi del 2022 gli acquisti di gas liquefatto da parte dell’Europa sono cresciuti del 65%.

Operazione resa possibile più che dalla costruzione di nuovi rigassificatori, che richiedono tempo, dal noleggio di speciali piattaforme, denominate Fsru, descrivibili come depositi galleggianti dotati di sistemi di rigassificazione. Dall’inizio della guerra in Ucraina, gli Stati europei si sono assicurati la disponibilità di 12 piattaforme galleggianti, mentre stanno portando a termine i contratti per assicurarsene altre nove. Ma per ammissione della stessa Iea, questa operazione è avvenuta a spese dei Paesi asiatici che contavano sulla loro disponibilità per accrescere le proprie forniture. Del resto, le navi capaci di trasportare gas liquido nel mondo sono appena 641 e se coprono le rotte verso l’Europa non possono coprire quelle verso altre aree del mondo. Fatto sta, che nel 2022 le importazioni di Gnl da parte del continente asiatico si sono ridotte del 7% con riduzioni più severe per Cina (-20%), India (-18%), Pakistan (-14%) e Bangladesh (-13%).

Inutile dire che l’accresciuta domanda da parte dell’Europa ha anche contribuito a fare lievitare i prezzi del Gnl che mediamente sono passati da 6 dollari per milione di Btu nel marzo 2021 a 50 dollari nel marzo del 2022. Un aumento che ha messo in seria difficoltà un Paese come il Bangladesh che ottiene tre quarti della propria energia elettrica da centrali alimentate a gas. Lo stesso governo bengalese ha reso noto che un terzo delle 77 centrali elettriche alimentate a gas soffrono per la penuria cronica di combustibile, dovuta alla difficoltà di approvvigionamento di Gnl ai prezzi attuali. Il che spiega le frequenti interruzioni di energia elettrica che mettono in difficoltà non solo le famiglie e i servizi pubblici, ma anche il tessuto produttivo del paese, prime fra tutte le imprese di abbigliamento per l’esportazione.

Il Bangladesh si trova nella tormenta dei prezzi perché la sua debolezza finanziaria l’ha sempre indotto a preferire acquisti del momento secondo i prezzi correnti, anziché legarsi a contratti di lunga durata secondo prezzi predefiniti. Ma l’aspetto sorprendente è che hanno difficoltà di approvvigionamento anche Paesi che invece hanno optato per contratti di fornitura pluriennale. Fra questi il Pakistan che da tempo ha l’abitudine di stipulare contratti di approvvigionamento di lunga durata. Il suo problema si chiama mancata consegna. Nel 2017, il governo pakistano stipulò accordi di durata pluriennale con un’impresa petrolifera italiana e un’impresa commerciale svizzera per ottenere carichi regolari di Gnl a un prezzo oscillante attorno agli 8 dollari per milione di Btu.

Fino al gennaio 2021 le consegne sono avvenute in maniera puntuale, poi entrambe hanno cominciato a saltare dei carichi fino a contare un totale di undici defezioni al giugno 2022. Il Pakistan ha cercato di tamponare la situazione procurandosi Gnl da altri fornitori, che però hanno preteso prezzi fino a tre volte più alti di quelli pattuiti con i fornitori originali. La conclusione è stata che i pakistani si sono trovati con un servizio elettrico a singhiozzo e un extra costo pari a 300 milioni di dollari che li impoverirà in ogni caso: sia che lo paghino di tasca propria, sia che vada ad aggiungersi al debito pubblico già elevato a 130 miliardi di dollari.

Nel tentativo di farsi indennizzare, il Pakistan è ricorso alla Corte Londinese di Arbitraggio Internazionale, ma le due imprese hanno già dichiarato di essere state costrette a cancellare i carichi perché erano esse stesse a corto di gas. In Pakistan, però, è opinione diffusa che il loro gas è stato piuttosto venduto ad altri per un prezzo di mercato molto più alto di quello pattuito col governo pakistano. Del resto in un articolo del 24 settembre 2022, il “Financial Times” riporta dichiarazioni di operatori del settore secondo i quali è abbastanza normale che quando i prezzi salgono, le imprese non si fanno scrupolo a violare i contratti preferendo affrontare le penali piuttosto che rinunciare a vendere i loro carichi a chi è disposto a comprarli secondo gli alti prezzi del momento. E nessuno ha dubbi: in questo periodo gli acquirenti più appetibili sono quelli europei disposti a pagare qualsiasi prezzo pur di fare scorta di gas in vista dell’inverno.

Anche in Asia la crisi energetica potrebbe trasformarsi in opportunità se venisse colta la palla al balzo per avviare un processo di transizione energetica verso le rinnovabili. Ma per riconvertirsi ci vogliono i soldi che in questi Paesi mancano in maniera cronica. Servirebbero i 100 miliardi all’anno promessi dai Paesi ricchi per sostenere gli interventi di adattamento e mitigazione nei confronti dei cambiamenti climatici. Ma la promessa stenta a realizzarsi e la crisi del gas sta producendo il risultato opposto: il ritorno a fonti energetiche più sporche come nafta, cherosene, carbone. Alcuni analisti stimano che quest’anno le esportazioni di carbone dall’Afghanistan verso il Pakistan siano già raddoppiate.

In Europa è stata invocata la solidarietà come strada per uscire tutti insieme da una situazione di difficoltà che non lasci indietro nessuno. Ed è ottimo. Ma sarebbe paradossale se l’Europa solidale si concentrasse solo su sé stessa trasformandosi in una fortezza che non si preoccupa affatto degli effetti che le proprie aspirazioni e le proprie scelte possono avere sul resto del mondo e in particolare sui più deboli. Se non è verso tutti, anche la solidarietà può trasformarsi in paradossale arma offensiva. E non è certo ciò che ci serve.

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