mercoledì 18 gennaio 2023
Gli effetti del cambiamento climatico sulle riserve idriche per l’agricoltura
L’aumento delle temperature mette a rischio i raccolti

L’aumento delle temperature mette a rischio i raccolti - Ansa

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Per gli agricoltori il 2022 è stato un annus horribilis. L’onda lunga del Covid e la guerra in Ucraina hanno provocato un incremento a doppia cifra dei prezzi dell’energia e, di conseguenza, di fertilizzanti come l’urea e dei prodotti chimici di sintesi, da cui dipende la produttività nei campi. La siccità non è stata decisiva nel provocare l’aumento dei prezzi del cibo, tuttavia ha contributo alla tempesta perfetta dei commerci di commodities. Logico chiedersi se ci sarà un replay.

Lo scenario

Piove ancora, ma piove meno, sulle montagne, in particolare sulle Alpi, che dissetano la Pianura Padana e quindi l’agricoltura più forte nel Paese: i nevai sono scarichi. I meteorologi, per ora, sono moderatamente preoccupati, in quanto le precipitazioni nevose, tradizionalmente, si concentrano tra gennaio e marzo, ma l’Anbi, che raccoglie i consorzi di bonifica e irrigazione e ha progettato insieme alla Coldiretti una rete di bacini per raccogliere il 50% dell’acqua pluviale, segnala che i laghi sono già ai minimi. Stabile o in calo la portata dei grandi fiumi del Nord.

Il fatto

Il 2022 è stato un anno particolare, a causa di quello che i meteorologi chiamano «promontorio anticiclonico subtropicale di blocco». Veniva da Sud-Ovest e si è proteso dall’Oceano Atlantico meridionale verso il centro Europa, provocando un’anomalia della pressione che ha favorito la siccità, sbarrando la strada del Mediterraneo alle perturbazioni atlantiche, impedendo la formazione di nubi e producendo un anomalo riscaldamento “per compressione”. Questa cappa ha falcidiato le colture del Nord Italia – lo stress da caldo nelle piante è cresciuto del 64% – e secondo la Coldiretti il surriscaldamento (+1,06 gradi in undici mesi, dato Cnr) e il moltiplicarsi degli eventi estremi ha tagliato i raccolti nazionali fino al 30%, con un danno di sei miliardi.


La cappa di alta pressione sul Mediterraneo ha falcidiato le colture del Nord Italia e lo stress da caldo nelle piante è cresciuto del 64% Il surriscaldamento e il moltiplicarsi degli eventi estremi hanno tagliato i raccolti fino al 30%, con un danno di 6 miliardi

Il cambiamento

Il periodo aprile-ottobre, conferma l’agrometeorologo Luigi Mariani (Università di Brescia), «è stato il più caldo in assoluto dopo il 2003». «Al settentrione – spiega Mariani – l’anomalia termica si è accompagnata a una sensibile anomalia negativa delle precipitazioni, tanto che per trovare un anno idrologico (1 ottobre 2021 – 31 settembre 2022) con precipitazioni simili a quelle del 2022 si deve ritornare al 1922». Se consideriamo i dati raccolti da 13 stazioni meteorologiche del Nord Italia, oltre ad essere stato un anno caldo, il 2022 è stato anche poco piovoso. «A livello del secolo, si registra una grande variabilità pluviometrica da un anno idrologico all’altro, con anni poveri di pioggia spesso seguiti da anni ricchi e viceversa – aggiunge Mariani –. Tuttavia, le precipitazioni sul Nord Italia non sono in calo ma grossomodo stazionarie: se vogliamo restare ai numeri e non alle percezioni, non si può in alcun modo parlare di un accentuarsi degli anni a piovosità scarsa nei decenni più recenti e, con la sola eccezione del biennio 1944 – 1945 (particolarmente negativo e che restò nella memoria di molti), dal 1900 ad oggi non è mai accaduto che un’annata molto povera di pioggia sia seguita da un’altra annata anch’essa molto povera». In altre parole, il 2023 potrebbe smentire il 2022.

Le piante

Anche i vegetali sudano e, secondo Mariani, «l’ultimo ventennio, con temperature di circa 2°C superiori a quelle del trentennio 1951-70, ha incrementato la traspirazione delle colture di circa 50 mm (1 mm di evapotraspirazione equivale ad un consumo di 10 m³/ha), il 10% di quanto una coltura traspira in un’anno. Poiché dall’inizio del XX secolo le rese delle grandi colture in Italia si sono moltiplicate di circa 5 volte, dobbiamo concludere che i consumi idrici per evapotraspirazione, conseguente al riscaldamento dell’ambiente, sono anch’essi grossomodo aumentati di 5 volte».

I laghi

Acqua che cade dal cielo o che si scioglie sulle montagne viene gestita dagli enti regolatori di laghi, fiumi e canali. Anche loro sono preoccupati, ma più per il riscaldamento che per la bassa piovosità e la ragione è presto detta: per quanti invasi si possano realizzare, il “lago” più grande che finora tratteneva la risorsa idrica e la rilasciava a tempo debito erano le montagne, con i loro nevai. «L’autunno scorso e l’inverno attuale si stanno dimostrando assai carenti di precipitazioni e con temperature superiori alla norma – osserva Gladys Lucchelli, direttore dell’Anbi Lombardia –. Le piogge della prima metà di dicembre hanno creato accumuli nevosi su Alpi e Prealpi e facevano sperare in un inverno nella norma. Tuttavia, a causa delle temperature elevate, e come evidenzia anche l’ultimo bollettino di Arpa Lombardia, lo Snow Water Equivalent (l’equivalente in acqua della neve) è criticamente al di sotto del valore medio del periodo (-41% a livello regionale, ossia sui livelli dello scorso anno), così come tutti gli invasi idroelettrici e i grandi laghi regolati (complessivamente -45% a livello regionale). Destano preoccupazione soprattutto il lago Maggiore (-77%), il lago di Iseo (69%) e il lago di Garda (-53%)».

Le piogge estive

Sul livello dei laghi il dibattito dura da anni: agricoltori, albergatori e industria idroelettrica portano l’acqua ai propri mulini, senza mai trovare un accordo. «In questo momento – spiega Doriana Bellani, direttore del Consorzio del Ticino che regola le emissioni del Lago Maggiore – siamo a meno quindici centimetri mentre in anni normali sono novanta. Si potrebbe arrivare a un metro e mezzo, ma l’acqua non c’è e non ci sarà se non avremo una “morbida” o una “piena”, cioè se non pioverà a maggio o a giugno. Non basterà neanche la neve invernale. Anche se nevicherà nelle prossime settimane, la riserva non arriverà comunque all’estate».

Il granaio del Nord

Ed invece, è costretto a sperare proprio nella neve e nel gelo il direttore di Anbi Veneto, Andrea Crestani: «Noi non abbiamo grandi laghi e quindi la riserva delle Dolomiti è decisiva. Siamo già sotto tutte le media, perché l’innalzamento delle temperature sta sciogliendo quella caduta tra l’8 e l’11 dicembre». Dal Prosecco all’allevamento, l’agricoltura veneta assicura 7 miliardi di produzione lorda vendibile, ma esige l’irrigazione di 600mila ettari. Un contributo importante viene dalla linea delle risorgive. Sono centinaia, si formano nella fascia pedemontana, ghiaiosa, e riemergono nei terreni argillosi di pianura: poche piogge e tanti prelievi, soprattutto civili e industriali, hanno portato all’estinzione il 60% dei fontanili. Alimentavano fiumi come il Bacchiglione e il Sile.


Anche i vegetali sudano e l’incremento della traspirazione delle colture dovuto al riscaldamento dell’ambiente ha fatto crescere di cinque volte i consumi idrici dovuti a questo fenomeno

Il futuro

Prevedere cosa succederà quest’estate resta arduo. « È acclarata una netta differenza tra la situazione idrica nell’Italia centro-meridionale, dove abbondanti piogge hanno rivitalizzato i corpi d’acqua superficiali e quella delle aree settentrionali » registra l’Anbi. In Piemonte si osserva che «la quantità di neve fresca caduta al suolo varia molto nel corso degli inverni – dichiara l’agronomo Pier Lugi Perino –. Nei 103 periodi nevosi censiti a Oropa, la neve caduta in ottobre, novembre e dicembre è pari ad un quarto di quella caduta nel corso di tutto il periodo nevoso. Infatti, le precipitazioni nevose raggiungono il loro massimo in gennaio, febbraio e marzo. Tuttavia, mentre la quantità delle precipitazioni totali non varia di molto nei 103 inverni censiti, tende a scendere sensibilmente il totale di neve caduta; il che significa che, aumentando la temperatura, l’aria umida che diventava neve adesso si trasforma in pioggia e la quota-neve (al di sopra della quale nevica mentre al di sotto piove) tende a innalzarsi sempre più». Il direttore Anbi Piemonte, Mario Fossati, condivide la preoccupazione: «Abbondanti nevicate ci permetterebbero di arrivare almeno a fine giugno e contribuire all’irrigazione della pianura, in particolare di quella a est della Dora Baltea, le cui falde costituiscono un grande serbatoio per tutta la pianura padana. Non dimentichiamo che, dei 450 metri cubi al secondo registrati a Pontelagoscuro nel Po (quelli che impediscono la risalita del cuneo salino), oltre 100 vengono dal Piemonte. Purtroppo le alte temperature di fine dicembre hanno già dissipato la scarsa quantità di neve caduta a inizio mese e la situazione oggi appare quanto mai preoccupante».

Per il momento, sta piovendo su Lombardia e Nordest mentre piove ancora troppo poco sul Piemonte – nei primi 15 giorni di gennaio sono caduti 53 millimetri a Milano (nell’intero mese ne cadono in media 60), a Venezia ne sono caduti 28 (e qui siamo nella norma) mentre Torino ha ricevuto solo 4 millimetri. Inoltre, fa notare Mariani, «a differenza di quanto accadde nel gennaio 2022, la porta dell’Atlantico è aperta al passaggio delle perturbazioni, di cui una è transitata l’8 e una sta transitando proprio in queste ore».

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