giovedì 30 luglio 2009
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La natura «ha preteso che, per gli uo­mini, l’amicizia non fosse soltanto motivo di gioia, ma che fosse anche ne­cessaria. Per questo motivo, ha ripartito le doti tanto del corpo quanto dello spi­rito, perché non vi fosse nessuno tanto provvisto di tutte da non aver bisogno in qualche circostanza dell’aiuto dei suoi si­mili, anche se umili, e non ha attribuito a tutti le stesse cose e nella stessa misu­ra, per far sì che la reciproca amicizia u­guagliasse questa disuguaglianza. Ecco il motivo per cui un prodotto viene da una regione e uno da un’altra, perché proprio il bisogno insegni ad avere reciproci scambi». Il grande umanista cristiano Erasmo da Rotterdam stampava queste attualissime parole nel 1517, nello scritto che dedica­va a Il lamento della pace respinta e an­nientata da ogni nazione . La Pace vi si presenta come «origine, madre, nutrice, benefattrice, protettrice di ogni bene pos­seduto sia dal cielo sia dalla terra»; in as­senza di essa «non v’è cosa in nessun luo­go florida, non v’è cosa sicura, non v’è cosa pura o santa o gioiosa per gli uomi­ni ».L’appello della Pace, che rappresen­ta un filo rosso dell’intera biografia intel­lettuale di Erasmo, esprime un senti­mento e una preoccupazione molto dif­fusa fra gli intellettuali del passaggio di quel 'secolo di ferro', fitto di appassio­nate perorazioni di questo genere. La cu­ra per il creato che Dio assegna alla sin­golare natura dell’uomo – intelligenza, li­bertà, capacità di plasmare l’intero habi­tat mondano – è uno dei grandi temi del­l’Umanesimo, particolarmente cristiano. Ed è scelto ora da Papa Benedetto per la Giornata mondiale della Pace 2010. Ci sono molte analogie, della nostra at­tuale congiuntura, con quel passaggio d’epoca, che ci possono incoraggiare e i­struire. Ne cito soltanto due. La prima è l’orrore diffuso per lo stato di conflittua­lità permanente, in scandaloso contra­sto con l’autoglorificazione 'estetica' dei nuovi poteri, che stendono come un ve­lo di rimozione sulla 'bruttezza' di un habitat che si vuole civilizzato, ed è inve­ce pieno di rifiuti e di rovine: degradato dalla nevrotica eccitazione di una peren­ne tensione di tutti contro tutti, che ren­de indifferenti al livello di distruzione fi­sica e morale che plasma l’ambiente u­mano. La seconda è la coscienza di una cultura della 'produzione' dei beni che va ossessivamente deprimendo la cultu­ra della 'generazione' del bene: quel be­ne che non si compra e non si vende, per­ché passa attraverso la cultura del dono, la cura dei legami familiari, amicali, coo­perativi, la passione per la formazione congiunta della mente e dello spirito, l’e­stetica della moderazione del consumo, della felicità dei luoghi, dell’intelligente complicità con il rigenerarsi della natu­ra vivente. Nel XVI secolo, più la situa­zione diventava tragica più il sogno si in­gigantiva. Non perdiamo una seconda occasione. I 'buchi' nella razionalità del reale sono sempre 'lacerazioni' dell’immaginazio­ne del bene. Benedetto XVI, evocando san Paolo (Rom 8) ha lanciato un appel­lo determinato e preciso. «Il 'Creato' ge­me – lo percepiamo, quasi lo sentiamo – e attende persone umane che lo guardi­no a partire da Dio» (Incontro con il Cle­ro di Bressanone, ripreso nel bel docu­mento della Cei per la Giornata del crea­to del prossimo 1° settembre). Ora, dopo aver illustrato puntualmente il nesso profondo fra economia dei beni ed eco­nomia del bene, che chiede uno spirito di cooperazione nuovo e globale, lancia il suo appello per la «custodia del creato» in favore della pace. La chiave è biblica e cristiana, da sempre: «Tutti gli esseri di­pendono gli uni dagli altri nell’ordine u­niversale stabilito dal Creatore». La por­ta che apre è quella di un umanesimo ra­dicale degli affetti condivisi, che hanno cura della casa comune. La libertà di cu­stodire il creato, assegnata da Dio, è il so­gno della ragione migliore che abbiamo, per non abitare la terra invano. Bisogna correggere la politica, altro che politica­mente corretti.
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