mercoledì 6 febbraio 2013
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È difficile anche solo provare a immaginare un atto più orrendo di un abuso sessuale su un minore. E ancora più orrendo un atto del genere è quando a macchiarsene è un prete; un ministro di Dio che, per natura e vocazione, dovrebbe avere un’attenzione affatto diversa per i più piccoli e i più deboli. Un concetto, questo, che Benedetto XVI, negli ultimi anni, ha declinato in diversi modi e in diverse occasioni; non solo a parole, ma con fatti precisi e decisi. E non solo sotto la pressione mediatica per gli scandali che hanno percorso Irlanda e Stati uniti, Germania e Belgio, ma anche – soprattutto – prima e dopo. Anticipando, o addirittura cogliendo di sorpresa l’opinione pubblica – come avvenne nel caso di Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo, rimosso nel 2006 dal suo ministero – e spronando a non "abbassare la guardia" anche quando, spenti telecamere e riflettori, nessuno sembra pensarci più. Anche la presentazione, ieri, degli atti del Simposio svoltosi alla Gregoriana un anno fa, e del resoconto delle prime attività del Centro per la protezione dei minori, rientra in quel "dopo" in cui, silenziosamente ma tenacemente, rispetto al problema degli abusi Papa Ratzinger sta "rimodellando" la Chiesa secondo un criterio che, dalla formazione degli aspiranti al sacerdozio fino all’agire concreto di fronte al male compiuto, è di rigore assoluto. Criterio che è stato definito di tolleranza zero, ma che in realtà è molto di più, col suo fare sintesi, a un tempo, dell’imprescindibile dovere della giustizia e del comandamento dell’amore. Mettendo sempre, al primo posto, l’attenzione per le vittime, il dovere di collaborazione con le autorità civili, e ponendo le basi per impedire, come tante volte successo in passato, che un malinteso desiderio di protezione dell’istituzione-Chiesa possa di nuovo portare a errori, sottovalutazioni e autentiche aberrazioni. Sulla base di questi criteri generali, da inizio 2013 tutte le Conferenza episcopali del mondo si sono dotate di linee-guida per affrontare in futuro casi di abusi che si dovessero ripetere, e anche questo fa parte del muoversi nel "dopo", nella quotidianità, di una Chiesa che vuol trasformare in un nuovo inizio anche una simile tragedia che l’ha attraversata. La Congregazione per la Dottrina della Fede sta ancora esaminando questi documenti, ognuno diverso dall’altro, dovendosi ovviamente integrare con le differenti legislazioni civili di ciascun Paese. Un lavoro accuratissimo. Che conferma l’enormità dello sforzo compiuto per voltare pagina, facendo di tutto perché consapevolezza, dolore, vergogna per quanto di maligno è accaduto siano memoria salda e motore per ripartire. Colpisce per contrasto però – e di nuovo non possiamo tacerlo – che nessuna istituzione civile in nessuna parte parte del mondo abbia voluto o saputo aggredire con la stessa determinazione il problema degli abusi sessuali sui minori. Un fenomeno che, come questo giornale ciclicamente documenta, resta imponente e che purtroppo – ancora oggi – non risparmia alcun ambiente e resta pervicacemente al centro di un’economia criminale con luridi e corposi interessi, dal turismo sessuale alla pedo-pornografia. Papa Benedetto ha dimostrato di non curarsi per nulla del fatto che, da un punto di vista esclusivamente statistico, la Chiesa cattolica in quanto istituzione è solo sfiorata dal problema: perché un solo caso, ha sempre detto, è già troppo quando a macchiarsene è una persona consacrata a Dio. Sarebbe però opportuno che, con la stessa voglia di mettersi senza condizioni dalla parte dei più piccoli, dei più indifesi, dei più deboli, anche altri enti si decidessero finalmente ad aggredire il problema alla radice, ovunque e comunque si ponga.
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