Femminicidi, cosa rende gli uomini così violenti con le donne?
martedì 1 agosto 2023

“Quante le strade che un uomo farà e quando fermarsi potrà... Risposta non c’è”. Mi martellano nella mente le parole della famosa canzone di Bob Dylan mentre vado rileggendo la sconcertante tragedia consumatosi a Pozzuoli. Mi dico che no, una riposta deve pur esserci. Non possiamo rassegnarci. Non possiamo limitarci ad aggiornare giorno dopo giorno l’interminabile elenco dei femminicidi, termine improprio, entrato ormai nel nostro vocabolario.

I maschi che ricorrono alla pistola o al coltello per eliminare fisicamente la donna con la quale in un tempo più o meno vicino e per un tempo più o meno lungo, hanno avuto una relazione, appartengono alle classi meno abbienti e a quelle benestanti; sono stranieri e italiani; giovani e adulti. Questa non omogeneità rende più complicato formulare una diagnosi e arrivare poi a una soluzione.

È un fatto che a morire sono quasi sempre le donne. È un fatto che a uccidere sono quasi sempre i maschi. È un fatto che questi crimini avvengono quasi sempre all’interno della coppia. Donne quindi, che hanno avuto una parte importante nella vita sentimentale, affettiva dell’assassino. Donne che non avrebbero mai pensato di essere uccise da quelle stesse mani dalle quali furono accarezzate.

Perché? Che cosa rende questi maschi tanto vulnerabili ed emotivamente instabili e violenti? Perché non sanno, o non vogliono, gestire il disagio, il dolore, dovuto a un rifiuto, una separazione?

A Pozzuoli, Antonio, 50 anni anni ha ucciso la moglie prima di suicidarsi. Orribile. Non è tutto, al peggio non c’è fine. Orrore nell’orrore, nella stanza attigua, ci sono i loro tre figli minorenni. Fermiamoci, per carità. Pensiamo a questi ragazzini ai quali il papà ha rovinato l’esistenza. Li ha privati in un istante di entrambi i genitori.

A Napoli si dice che “i figli sono pezzi di cuore”. Che per i figli si è disposti a fare sacrifici, a rimanere digiuni, ad affrontare fatiche di ogni tipo. È vero. Stupendamente vero. Questi figli, invece, – possiamo dirlo ? – non sono stati amati. Il loro padre - padrone non ha pensato minimamente a loro, al loro dolore, alla loro angoscia. Al loro futuro. Niente, la gelosia gli ha accecato gli occhi, gli ha obnubilato la mente, gli ha serrato il cuore. In quegli interminabili, tragici, minuti in cui il mondo intero andava perdendo interesse per lui, l’unica soluzione intravista è stata quella di spegnere il suo tormento con la morte. Morire si, ma non prima di aver trascinato nella tomba colei che egli considera la causa del suo malessere, del suo fallimento, del suo tormento. Alla base c’è, purtroppo, ancora, e sempre ancora, la convinzione che la donna che amo, o credo di amare, sia un oggetto che mi appartiene. Come le mie scarpe, il mio scooter, il mio telefonino.

“Mia” aggettivo stupendo che dice delicatezza, appartenenza, complicità, amore, capace di trasformarsi nella più spietata delle trappole. In quel caso, il mondo si restringe, si fa piccolo, perde d’interesse. I pensieri diventano ossessione. Martellano. Fanno male. La gelosia. Pensavamo di averla messa al bando. Di essercene liberati per sempre. Avevamo creduto che le nuove generazioni non sarebbero rimaste, come nel passato, schiavi di questa megera irrazionale. Ci accorgiamo che non è così. Si, ma Antonio aveva 50 anni, non era più giovanissimo.

È vero, purtroppo nelle stesse ore, a Cologno Monzese, Sofia, 20 anni, muore accoltellata dal suo ex ragazzo che di anni ne ha 23. Mentre ancora è vivo il ricordo di Giulia, incinta al settimo mese, trucidata dal compagno trentenne. “ Quanto giovane sangue versato sarà finchè un’alba nuova verrà? Risposta non c’è …”. No, mi rifiuto.

La risposta c’è, deve esserci. Occorre cercarla dentro di noi, senza scoraggiarci, senza stancarci, senza rassegnarci. È scritta nel vangelo e nel nostro intimo. Dobbiamo scavare dentro, fare di più. Imparare a dialogare, eliminando ogni steccato tra maschi e femmine, giovani e adulti, italiani e stranieri. Rigettando il ricorso a ogni pur minima violenza, a cominciare da quella verbale. Educando noi stessi e i figli al rispetto per l’altro, mettendo al centro la persona umana e i suoi inalienabili diritti. Ad essere i primi che mettono in pratica il liberante comandamento dell’amore.




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