Il Papa, don Pino e i suoi fratelli-padri
domenica 27 maggio 2018

Giunge pochi giorni dopo l’esplicita ammissione di essere «preoccupato» per l’inverno vocazionale della Chiesa in Italia, l’annuncio che il Papa si recherà il 15 settembre prossimo a Palermo e a Piazza Armerina per il 25° anniversario dell’uccisione del beato martire don Pino Puglisi. E poiché nel magistero di Francesco i gesti valgono almeno quanto le parole e i documenti, viene spontaneo cogliere un naturale collegamento tra il discorso di lunedì 21 maggio all’Assemblea della Cei e la notizia di ieri. In un certo senso è come se papa Bergoglio abbia voluto dare un secondo suggerimento "pratico" ai vescovi italiani, oltre a quello consegnato loro direttamente circa una settimana fa. In quella occasione aveva parlato di «uno scambio di sacerdoti «fidei donum da una diocesi a un’altra», per sopperire alle necessità delle zone dove l’«aridità» delle vocazioni morde maggiormente. Con la scelta di andare in Sicilia ha indicato un altro esempio di "sacerdote-icona", che per ciò stesso diventa potente antidoto alla «sterilità» vocazionale della nostra Chiesa in questa fase della sua straordinaria storia. Don Puglisi, infatti, è stato una figura talmente "incarnata" nelle vicende e nelle sofferenze dei fedeli che gli sono stati affidati, da offrire la sua stessa vita per loro. E in tal modo egli si aggiunge a una serie di altri sacerdoti ai quali il Vescovo di Roma ha reso omaggio con i suoi recenti viaggi in Italia: don Bosco e don Mazzolari, don Milani e padre Pio, il vescovo Tonino Bello e don Zeno. Diversi per carattere e stile pastorale, ma accomunati dal medesimo zelo missionario, che li ha portati ad essere annunciatori del Vangelo sine glossa e perciò potentemente attrattivi.

C’è, infatti, tra le cause della «emorragia di vocazioni», elencate dal Papa nel suo discorso ai vescovi, anche la sottolineatura di una «testimonianza tiepida» che si affianca a quelle per così dire ambientali come «la cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro», pure puntualmente citate dal Pontefice. Tiepidi nel loro ministero ordinato non furono certamente i presbiteri indicati da Francesco. E padre Puglisi spicca tra questi per il suo martirio, testimonianza estrema di amore incondizionato a Cristo e alla Chiesa pur di fronte a un pericolo che non poteva non avvertire come presente e reale.

Chi ha confidenza con i sacerdoti sa bene che moltissimi (per non dire tutti) sono stati spinti sulla strada della speciale consacrazione attraverso una chiamata quasi sempre passata attraverso l’esempio di un altro prete o di un vescovo o di un religioso particolarmente esemplari nel loro ministero. È la forza centripeta dell’amore, del servizio disinteressato e della povertà evangelica che, come ha notato Francesco nello stesso discorso ai vescovi, «è "madre" e "muro" della vita apostolica, in quanto la genera e la difende». Come dire, ancora una volta, che il Vangelo si propaga per contagio e non per proselitismo. E lo stesso vale per le vocazioni. Perciò, suggerisce il Pontefice, figure luminose come queste hanno anche il potere di risvegliare la generatività nella fede che è alla base di ogni fioritura vocazionale. «È la nostra paternità quella che è in gioco qui», ricordava infatti papa Bergoglio nel suo discorso all’Assemblea della Cei, subito dopo aver detto che in cima alle sue preoccupazioni, per quanto riguarda la Chiesa in Italia, c’è la crisi delle vocazioni. Farà bene dunque a ogni fedele – e in special modo agli oltre 35mila sacerdoti italiani – confrontarsi con quel discorso e con questi esempi, per avvicinarvisi il più possibile. Tutti in fondo – dal priore di Barbiana al parroco di Brancaccio, dal fondatore di Nomadelfia al santo dei giovani, dal cappuccino con le stimmate al vescovo con il grembiule, senza dimenticare don Mazzolari – sono stati fidei donum nei loro ambienti. Cristianamente eroici e straordinari nella loro ordinarietà. E perciò profeti di una Chiesa in uscita, che attrae perché si mostra soprattutto madre. Come il messaggio di papa Francesco – duplice nella sua modalità espressiva, ma univoco quanto alla finalità – sta lì a indicare.

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