Il trilemma d'Europa
martedì 11 settembre 2018

Una mezza vittoria. Non di più. Ma non basta per affermare che l’onda nera del populismo svedese si sia infranta sulla diga delle forze democratiche tradizionali. Sverige Demokraterna, il movimento guidato dal bellicoso leader Jimmie Akesson si aggiudica 62 seggi - un aumento di oltre il 12% rispetto alla consultazione precedente – e anche se non sfonda la temuta quota 20% si attesta al terzo posto; con i socialdemocratici – dal 1917 il partito di maggioranza relativa nella monarchia parlamentare svedese – ancora saldamente in testa (sebbene questo sia il loro peggior risultato dal 1921) e i centristi moderati al 19,8%. La diga, insomma, è stata a un passo dal cedere, uno svedese su cinque ha votato i sovranisti premiando l’abilissima campagna basata sulla paura del migrante, del tasso di criminalità in ascesa e della rivolta contro l’Unione Europea con la minaccia della Swexit. Un passaggio arduo che ora vede la Svezia di fronte a una impervia ricomposizione politica e a una fase di difficile trattativa fra tutte le forze parlamentari per dare forma a un governo.

Socialdemocratici e forze moderate di centrodestra, infatti, si equivalgono quasi perfettamente: 143-144 seggi ciascuno. In mezzo ci sono i "barbari" di Akesson. E qui, nonostante la antica e appagante predisposizione svedese a varare governi di minoranza sostenuti dalla buona volontà e dall’invidiabile senso dello Stato che questo Paese vanta da ormai un millennio, sta il vero problema. Cosa fare cioè dell’alieno, dell’ospite che si è autoinvitato e ora staziona a pieno titolo nell’arena politica. Ignorarlo? Metterlo al bando? È una tentazione cui molti si abbandonerebbero volentieri, prefigurando una grande coalizione alla tedesca fra socialdemocratici e moderati che tenga fuori dalla porta il partito di Akesson. Ma sarebbe probabilmente un errore.

Certo, la trama neanche tanto sottile che senza fatica si scorge nel tessuto ideologico del partito di Akesson è neonazista prima ancora che tatticamente anti-islamica, inutile nascondersi dietro le parole o lasciarsi abbagliare dai suoi proclami improvvisamente moderati. Ma lo spregiudicato leader di Sverige Demokraterna sa bene che con tutta probabilità siederà presto a uno o più tavoli delle trattative. Tentazione, quest’ultima, che già alletta il leader dei moderati, Ulf Kristersson, il quale è più che pronto a offrire una sponda ai sovranisti e – sono parole sue – mandare un avviso di sfratto ai socialdemocratici. Si dirà: ma così facendo i partiti conservatori e moderati stanno per commettere il loro suicidio politico tentando di annacquare l’estremismo dei sovranisti-xenofobi ammettendoli nei loro ranghi e parallelamente convergendo su certi temi a loro cari (come la riforma del diritto di asilo).

Vero, come è vero che poco meno di un secolo fa fu proprio questa condotta – alternata con i non meno irresoluti "Aventini" – l’atteggiamento preferito nei confronti di fascismi e nazismi, il cui risultato è ancora sotto gli occhi di tutti, almeno di tutti quelli che hanno memoria. «Chiunque capisca che può parlare con me – motteggia ora l’ex campioncino di videopoker Akesson – capirà anche che questo è il modo più semplice per formare un governo per i prossimi 4 anni». Difficile dargli completamente torto. Così come va rimarcata una vistosa assonanza fra il rebus svedese e i problemi in casa Ppe: per conservare la maggioranza al Parlamento di Strasburgo, alla famiglia politica del Partito popolare europeo occorre anche il concorso degli ungheresi di Viktor Orbán. Gli stessi che in questi giorni sono sotto accusa a Bruxelles per le troppe leggi liberticide.

Il tema in fondo è il medesimo: mantenere in famiglia anche gli impresentabili come Orbán (che tuttavia è pedina utile per dialogare e diluire le spinte centrifughe dei più irriducibili antieuropeisti), chiudersi nella fortezza «democratica» nell’illusione che l’onda nera del sovranismo populista presto o tardi passi senza aver fatto troppi danni o affrontare la sfida in campo aperto con politiche che completino e rendano equa l’Unione economica e spingano verso l’Unione politica? Il vero trilemma dell’Europa di domani è tutto qui. Un’Europa che in ogni caso ha soverchianti responsabilità nel diffuso malessere che ha ingenerato presso milioni di cittadini e non soltanto per i più vistosi dei propri fallimenti, l’iper-rigorismo che ha mortificato mezza Unione e i ceti medio-bassi e l’egoista e cieca politica sui flussi migratori. Un’Europa da rifondare, in cui l’onda nera è ormai più che un’assillante spia del malessere.

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