Ogni giorno il Vangelo mi parla se gli lascio incrociare la mia vita
venerdì 11 ottobre 2019

Papa Francesco, con il recente motu proprio Aperuit illis ha istituito la 'Domenica della Parola di Dio' annunciandola proprio nel giorno in cui è iniziato il 1.600° anniversario della morte di san Girolamo, il 30 settembre. Non è né un caso né amore per le coincidenze: è additare l’esempio del santo che ha dedicato gran parte della vita a tradurre la Scrittura dal greco o dall’ebraico al latino, rendendola così accessibile al culto, alla preghiera, allo studio, insomma, a tutta la Chiesa che sapeva leggere e scrivere: per questo la sua traduzione si chiama 'vulgata', ovvero 'edizione per il popolo'.

Per il sacerdote 'in cura d’anime', ovvero per il prete che si cimenta quotidianamente nel duro compito di accompagnare le anime a Dio, quella di san Girolamo non è solo la biografia di un dotto studioso ma è in primo luogo la vita di un cristiano che ha voluto farsi ferire dalla Scrittura, che ha voluto incarnarla. Senza entrare in mille particolari biografici, è sufficiente ricordare che trascorse gli ultimi 35 anni della vita a Betlemme per potersi impregnare di quella vita che voleva tradurre. Perché la Scrittura – e il Vangelo in particolare – ha per Autore principale lo Spirito Santo e contiene la parola di Dio non come qualsiasi libro contiene le parole del suo autore ma in un modo assolutamente più efficace e sacro. Essendo il Dio cristiano la Parola Incarnata, le parole che lo Spirito Santo dettavano a chi scriveva raccontano non solo la vita storica di quella Incarnazione ma contengono anche in modo particolare lo Spirito Santo che l’ha animata, visto che Gesù si incarnò «per opera dello Spirito Santo». Chi legge il Vangelo mangia Gesù e beve Spirito Santo.

Lo dico con riferimento a un ricordo vivo della mia giovinezza, quando a tavola potevo comportarmi in maniera disinvolta e nel bicchiere del vino mettevo, all’inizio del pranzo, le pesche: in questo modo, al momento della frutta, mangiavo le pesche ma bevevo anche il vino di cui ormai si erano impregnate. San Girolamo con il suo vivere in Terra Santa per imparare la Scrittura mi insegna che nel Vangelo bisogna entrarci con tutto se stessi, con entrambi i piedi. Papa Francesco ci dice che vivere secondo «la forma del Vangelo» non è un consiglio che riguarda solo san Francesco ma un precetto per ogni cristiano. Per la mia esperienza, il prete 'in cura d’anime' può additare il Vangelo solo se cerca ogni giorno di leggere quello che la Chiesa propone nella liturgia della Messa chiedendosi 'cosa dice a me questa Parola, oggi?': la parabola della pecorella smarrita è sempre la stessa ma il mio oggi cambia ogni giorno. Per questo ogni giorno lo Spirito Santo contenuto in quelle parole mi comunicherà il Verbo in modo diverso, declinato in mille sfumature. Dedicare alla Parola lo spazio di una domenica, la terza del tempo ordinario, significa chiedersi che posto prende la Parola nella parola nella mia vita: se diventa reale, se diventa vita. Non solo suono, non solo un’onda invisibile che percuote il timpano ma strumento potente che tocca la pelle, l’anima, la vita appunto. Per ferirla e salvarla per sempre. Mettere la parola al centro di un tempo significa fare risaltare la centralità della comunicazione che, etimologia alla mano, significa costruzione di comunione.

San Girolamo affermava che «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». La terza domenica dell’anno mi devo fermare per chiedermi se mi ricordo che ogni giorno c’è una parola che merita di essere ascoltata. Avere una vita secondo la forma del Vangelo significa che Vangelo e vita si devono mettere in collegamento. Per un punto passano infinite rette, per due punti ne passa solo una. Se prendo il Vangelo e lo isolo dalla realtà posso fargli dire qualsiasi cosa, la storia purtroppo ce lo ha dimostrato in mille modi. E lo stesso accade con la mia vita, se la prendo e la isolo: se invece lego assieme Vangelo e vita, se mi chiedo cosa dice alla mia vita il Vangelo di oggi, allora il Vangelo parla. E io ne posso parlare agli altri, a quelli di cui 'ho cura'.

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