Obiezione di coscienza: si lasci ai medici la libertà di discernere
domenica 10 settembre 2023

L’Associazione medica mondiale (Wma), l’organizzazione che ambisce a rappresentare tutti i medici e raggruppa 116 loro associazioni nazionali con oltre dieci milioni di professionisti affiliati, ha recentemente modificato il proprio Codice internazionale di etica medica (Icome). Si tratta di uno dei documenti che ispirano le politiche sanitarie degli organismi internazionali – come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – e dei governi, insieme alla Dichiarazione di Ginevra (originale del 1948), riaffermazione degli imprescindibili doveri professionali e morali del medico resasi necessaria dopo i crimini della medicina nazista, e a quella di Helsinki (1964 e successive revisioni), che contiene i princìpi etici per la ricerca biomedica sugli esseri umani. La nuova versione dell’Icome, ora disponibile nella redazione definitiva, contiene alcune affermazioni che entrano nel metodo e nel merito dell’esercizio di un pilastro dell’antropologia e dell’etica medica, che sta a garanzia dell’inalienabile diritto di ogni donna e uomo – e dunque anche del medico – di vedere rispettata l’autonomia di giudizio e di deliberazione propria della ragionevolezza e della libertà del soggetto: l’obiezione di coscienza nei confronti di una richiesta di compiere o collaborare nel compimento di un’azione che contrasta con il bene riconosciuto come tale, e induce a fare un male da evitare.

Nella maggior parte delle democrazie occidentali l’obiezione di coscienza è riconosciuta dalla legislazione, in quanto esercizio del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione affermato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). Non riguarda solo il servizio militare di leva, l’esecuzione capitale, l’aborto, l’eutanasia e altre azioni in ambito sanitario, ma è in gioco anche quando viene chiesto, per esempio, di torturare fisicamente o mentalmente una persona a scopo coercitivo, di non prestare il dovuto soccorso a chi è in pericolo di vita, oppure di testimoniare il falso per scagionare il responsabile di un reato o depistare le indagini. La relazione sanitaria vede in azione due o più soggetti la cui libertà di coscienza deve essere recepita e tutelata.

Mentre la revisione dell’Icome si muove nella direzione di promuovere un maggior riconoscimento dell’autonomia del paziente nel rispetto della sua cultura, fede e opzione individuale che lo portano ad acconsentire o rifiutare alcuni interventi sanitari, non altrettanto può dirsi per quanto concerne la protezione dell’effettivo esercizio dell’autonomia del medico nel decidere di praticare o meno determinati atti medici legalmente consentiti nel Paese in cui lavora. Il paragrafo 29 del nuovo testo recita che l’«obiezione di coscienza del medico [...] può essere esercitata solo se il singolo paziente non è danneggiato né discriminato e se la salute del paziente non è messa in pericolo». Se è evidente il riferimento al “danno da evitare” e alla “salute da preservare” (due cardini dell’etica medica ippocratica), cosa significa “non discriminare” il paziente in riferimento alla decisione in coscienza del medico di non compiere un intervento che ha richiesto?

Quando viene chie sta al medico un’azione che egli ritiene ingiusta secondo la propria coscienza – per esempio, la soppressione di un feto mediante l’aborto o di un malato inguaribile attraverso l’eutanasia –, rifiutandosi di eseguirla il medico “discrimina” (cioè discerne, distingue) il male da evitare dal bene da perseguire (e in questo è moralmente corretto) senza che “discrimini” (in questo caso, tratti ingiustamente) il richiedente sulla base di attributi individuali della sua persona: si prenderà ugualmente cura di lui o di lei per quanto concerne la tutela della sua vita e salute, come lo stesso Icome prevede. Valorizzare e promuovere l’esercizio dell’obiezione di coscienza dei medici è un passo in avanti nel cammino verso le pari opportunità di autonomia di tutti i soggetti coinvolti nella relazione di cura – medici e malati – e non rappresenta una minaccia al principio di autonomia del paziente, che la Wma vuole mettere maggiormente in risalto nella nuova versione del proprio Codice etico.

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