Non torneranno mai i conti di chi teorizza il «nonnicidio»
venerdì 17 febbraio 2023

Spesso la solitudine ha i capelli bianchi. E così il senso di colpa per essere rimasti in vita. Succede al genitore che seppellisce suo figlio o all’anziano sopravvissuto a un’esplosione, mentre intorno è strage di famiglie, di giovani adulti, di ragazzi. Qui però è diverso. Adesso stiamo andando decisamente oltre.

Ora si vorrebbe pianificare la condanna a morte di chi continua a vivere mentre non dovrebbe esserci più. Perché ostacola il progresso, perché frena il turnover lavorativo, perché è un costoso “inutile peso”. Capita infatti che l’economista di origine nipponica Yusuke Narita, docente a Yale, negli Stati Uniti, suggerisca al Giappone, come rimedio all’esplosione dei conti pensionistici e stimolo alla natalità in uno Stato con appena 1,34 nascite per donna, l’eliminazione fisica dei vecchi. Il sistema sarebbe quello del suicidio di massa, con il metodo del seppuku, rituale imposto ai samurai che disonoravano il Paese.

Questo, sono parole sue riportate dal “New York Times”, consentirebbe «ai più giovani di farsi strada negli affari, nella politica e in altri aspetti della società che la generazione anziana si rifiuta di lasciare». Certo, visto il polverone di reazioni, Narita ha rettificato dicendo che quelle dichiarazioni erano state svincolate dal contesto, ma la sostanza rimane.

Una società che corre non può essere rallentata da chi fatica a camminare veloce e il progressivo invecchiamento della popolazione, con il maggior numero al mondo di over 65 anni, è un dato incontrovertibile, un’àncora da levare se si vuole che la nave possa navigare al largo. E poi non tutti hanno preso le distanze dal professore, anzi sui social giapponesi l’economista di Yale ha guadagnato migliaia di seguaci perché il male affascina sempre e ogni odiatore può contare su una qualche claque. In fondo il consenso si costruisce proprio così: si insinua un dubbio, quindi lo si rafforza piano piano, fin quando ciò che prima sembrava follia appare normalità o almeno verosimiglianza. In quest’operazione anche la storia aiuta: il senilicidio cioè l’eliminazione o l’abbandono degli anziani era presente in molte società tribali e gli stessi inuit dell’Artico, in carenza di cibo, sacrificavano i più avanti con gli anni. Quanto al Giappone l’indiretto precedente risale al 1948 con la legge sull’eugenetica che portò alla sterilizzazione di migliaia di persone con disabilità mentali o tare genetiche.

Di diverso, rispetto ad allora, oggi c’è la troppa solitudine dei vecchi che ne spinge tanti a compiere piccoli reati per andare in carcere in modo da aver qualcuno con cui passare il tempo. E allora sorge la domanda: ha senso zavorrare la società e l’economia per colpa di gente così? La risposta sta nello spessore della linea con cui distinguiamo le persone dalle cose, nel valore che diamo all’essere umano, nelle ragioni del cuore in quanto scrigno di sentimenti e non solo muscolo involontario che ci tiene in vita. Giusto e bello recuperare il magistero di papa Francesco sull’importanza della memoria e il dialogo tra le generazioni, prezioso il contributo dell’antropologia per capire il valore della presenza anziana nelle nostre società, fondamentale ricordare quanti over 65 anni con il loro aiuto permettono ai ragazzi di progettare il futuro. Tuttavia, per replicare al docente dell’università di Yale, serve meno, molto meno. Basta, se abbiamo la fortuna di averli ancora, parlare con i nostri genitori anziani o con i nonni. Guardarli negli occhi. E magari abbracciarli.

Il segreto sta tutto lì, nell’economia dei sentimenti. Che va oltre le leggi di bilancio e supera di gran lunga, per importanza, tutti i segni più e meno nel calcolo del Pil.

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