sabato 25 maggio 2024
Un lettore musulmano potrebbe sentirsene offeso o turbato? È proprio la scuola a dovere evitarlo, spiegando, contestualizzando, approfondendo, certamente non cancellando
Studentesse islamiche in classe

Studentesse islamiche in classe - Tam Tam

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Sono convinto che l’iniziativa dell’insegnante della scuola media di Treviso di chiedere ai genitori di due alunni musulmani una sorta di “parere preventivo” per un percorso didattico sulla Divina Commedia sia stata mossa da una buona intenzione: quella dell’inclusione, dell’attenzione alle diverse sensibilità presenti nella classe. Detto questo, però, va affermato con altrettanta chiarezza che è stata un’idea sbagliata.

Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato un’ispezione. Benissimo: è nelle sue prerogative. Ma, per favore, non crocifiggiamo ancora una volta l’insegnante, il preside, la scuola di turno, soprattutto quando operano in contesti complessi e difficili. Se la buona volontà ha indotto a compiere un passo falso, raddrizziamo il passo, ma sosteniamo la buona volontà, facendo in modo che l’inclusione si persegua in modi fondati, sensati, efficaci, e non – come in questo caso – magari persino controproducenti.

Perché è sbagliata l’idea di prevedere la possibilità di esonerare gli studenti di fede islamica dallo studio di Dante? La questione va affrontata su due piani: religioso e culturale. Sul piano religioso, certamente la Commedia dantesca è un’opera cristianamente ispirata, come lo sono gran parte dei capolavori della letteratura italiana e occidentale in genere (compresa l’altra grande opera la cui lettura è prevista in tutte le scuole, I promessi sposi), ma per leggerla, comprenderla e apprezzarla non è richiesto un atto di fede. Allo stesso modo in cui posso leggere l’Iliade o l’Eneide senza dover necessariamente credere in Giove e in Giunone. Le opere citate sono pietre miliari della letteratura universale.

Il problema è forse più legato all’aspetto culturale. Vale a dire ad alcune situazioni ed episodi presenti nel poema di Dante, che non sono verità di fede ma elementi contingenti connessi alla mentalità medievale e alla cultura personale dell’autore. Come è noto, Dante pone Maometto all’Inferno tra i seminatori di discordia (XXVIII canto della prima cantica). Un lettore musulmano potrebbe sentirsene offeso o turbato? È proprio la scuola a dovere evitarlo, spiegando, contestualizzando, approfondendo, certamente non censurando. Dante mette all’Inferno anche i non credenti («eretici ed epicurei») e gli omosessuali («sodomiti»), ma per apprezzare la sua poesia non dobbiamo sposare in tutto e per tutto il suo punto di vista.

Sottrarre la lettura della Divina Commedia ai ragazzi provenienti da famiglie musulmane è un’occasione persa in termini di integrazione. Se questo è l'obiettivo della scuola, la cultura italiana, di cui Dante è uno dei padri nobili, va presentata e valorizzata nella sua interezza. Magari cogliendo l’opportunità per illustrare i rapporti tra l’opera dantesca e la cultura araba. Sappiamo ormai da più di un secolo che con molta probabilità Dante trasse ispirazione anche dal Libro della Scala di Maometto, il racconto di un viaggio nell’aldilà. D’altra parte, Dante mostra in più occasioni di conoscere e rispettare la cultura islamica (per esempio i filosofi arabi Avicenna e Averroè). Nel Medioevo gli scambi tra questi due mondi erano fitti e continui. Sarebbe assurdo impedirli oggi.

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