La sfida per la nuova Cgil e il sindacato
sabato 26 gennaio 2019

Mai così indebolita, in difficoltà nel rapporto con la propria base e al tempo stesso, però, mai così libera di ripensarsi, di ritrovare la propria identità e missione. La nuova Cgil di Maurizio Landini è davanti a una delle svolte forse più difficili della sua lunga e importante storia, un cambiamento necessario che in realtà coinvolge il movimento sindacale nel suo complesso.

Il tradizionale quadro di riferimento della confederazione, la sinistra nelle sue espressioni partitiche, è da tempo diviso da lotte interne e scomuniche reciproche, oltre che in crisi sul piano dei consensi nel Paese. E fra gli iscritti alla Cgil le preferenze si dividono quasi equamente tra queste diverse sinistre, i populisti e i sovranisti. La Cgil ormai da molto tempo non è più cinghia di trasmissione dei partiti, ma negli anni scorsi si è attardata in una lettura spesso ideologica dei mutamenti sociali. Ciò che le è mancato – nonostante una guida moderata e aperta al confronto – è stata la capacità, dimostrata in alcune fondamentali occasioni in passato, di essere un passo avanti nell’analisi per poter proporre una nuova idea di società o anche solo di organizzazione del lavoro. Proprio la Fiom, a lungo guidata da Maurizio Landini, è la federazione che più ha sofferto di questo ritardo, sbagliando completamente strategia nel confronto con Fiat-Fca, non firmando diversi accordi (solo l’ultimo contratto nazionale dei metalmeccanici è stato unitario), chiudendosi spesso in uno sterile "no" a tutto, con alcuni suoi aderenti pronti a dar l’assalto alle sedi della Fim-Cisl al grido di "traditori".

In pochi anni i cambiamenti nelle fabbriche sono stati profondi e lo stesso Landini che in felpa rossa urlava in tutti i talk-show ha assunto un profilo più moderato e, pare, realistico. Tanto da incassare una notevole apertura di credito da parte di Annamaria Furlan, segretaria generale dei "cugini-rivali" della Cisl. I prossimi mesi diranno quanto, nello stesso Landini, sia rimasto dell’antesignano del "populismo sindacale" e quanto invece è maturato di un leader che sia in grado di rilanciare il sindacato su nuovi obiettivi. I primi gesti – la visita a un centro per richiedenti asilo a Bari – e le prime parole – «Andate tra i lavoratori, nei cantieri, nelle campagne, diventiamo un sindacato di strada» – vanno nella giusta direzione.

Quella non solo di rimettere in piedi la piramide, oggi rovesciata, dell’organizzazione sindacale nei territori, ma di essere sempre più presenti in maniera efficace laddove i lavoratori si trovano. Perché nelle più diverse condizioni in cui sono – garantiti, precari o sfruttati, in micro aziende o in grandi gruppi – sempre e comunque hanno bisogno dell’insostituibile funzione del sindacato. Non solo della sua tutela, ma soprattutto del suo specifico: la rappresentanza collettiva e la contrattazione come mezzo privilegiato per migliorare la propria condizione.

Perché oggi, in realtà, è il ruolo stesso del sindacato a essere messo in discussione. Consegnata al Novecento la concertazione, dimenticata perfino la mera consultazione delle parti sociali, la politica ha progressivamente rivendicato esclusivamente a sé la rappresentanza dei bisogni della società e la titolarità a decidere per rispondervi. Con il governo giallo-verde che sta ulteriormente esautorando i sindacati, vantando il merito esclusivo della soluzione delle vertenze aziendali, scavalcando la contrattazione con il primato della legge. Lo testimoniano vicende come quella dell’Ilva; lo si è visto con il tentativo, peraltro finora fallito, di dare non un contratto ma un riconoscimento legislativo ai rider senza tutele. E lo si vedrà con maggiore chiarezza nei prossimi mesi, quando verranno presentate le proposte di legge su salario minimo e riduzione d’orario.

Di fronte a un evidente neo-statalismo, alla delegittimazione delle Ong, alla penalizzazione del Terzo settore che caratterizzano le politiche di M5s e Lega, alla nuova Cgil e al sindacato tutto, prima ancora di innovative soluzioni per il futuro del lavoro, è assegnato oggi il compito di difendere il principio di sussidiarietà. La possibilità stessa della società di autorganizzarsi e di rispondere in proprio ai bisogni emergenti. A partire dalla parola-chiave, quella fondativa proprio del sindacato: «assieme». Non «prima» (qualcuno), ma (tutti) «assieme ».

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