sabato 25 settembre 2021
L’impegno delle capodelegazioni italiana e israeliana all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa
Bambine all'uscita della scuola a Kabul, il 5 settembre scorso

Bambine all'uscita della scuola a Kabul, il 5 settembre scorso - Ansa

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Gentile direttore,

negli ultimi 20 anni la guerra in Afghanistan contro i taleban ha provocato la morte di 66mila soldati afghani e di 2.442 americani. Tra questi ultimi, oltre 20mila soldati hanno riportato ferite fisiche e molti di più soffrono di disturbi da stress post-traumatico, combattendo con problemi mentali scaturiti ovviamente dal dramma del conflitto. Alla luce di questi numeri, e non soltanto di questi, risulta difficile giudicare il ritiro delle truppe occidentali come un errore, anzi. Ciò che più di ogni altra cosa però spicca, è la gestione della tempistica con cui si sono condotte le operazioni, non soltanto militari.

A nostro parere, il ritiro doveva senza dubbio avvenire e molto tempo prima. La presenza in Afghanistan, l’attacco ad al-Qaeda e la rimozione del regime taleban, erano obiettivi meritevoli. Nelle ultime settimane, però, abbiamo assistito con terrore alla presa del potere dei taleban e delle forze americane e alleate che completavano la propria ritirata dall’Afghanistan. Così, mentre lo sforzo principale della comunità internazionale è stato improntato all’evacuazione dal Paese, ora il punto di caduta comune deve essere il sostegno agli afgani rimasti sotto il regime taleban, con particolare attenzione alla sorte di donne, bambine, minoranze e difensori dei diritti umani: proteggere e assicurare loro il rispetto base dei diritti umani deve rimanere, come legislatori, il nostro primo obiettivo.

Come delegate al Consiglio d’Europa, come legislatrici nei nostri rispettivi Paesi e, specialmente, come decisori politici donne è nostro obbligo morale aiutare altri esseri umani, alleviare la sofferenza del popolo afghano e assicurare che i diritti delle donne, nell’ora più buia, non siano ignorati o dimenticati.

Dobbiamo riconoscere che esiste una difficoltà strutturale nel mantenere per così lungo tempo una presenza straniera nel Paese, anche tenendo in considerazione la motivazione originale: quella di aiutare le persone oppresse a liberarsi e costruire la propria strada verso la democrazia, o condurre una guerra al terrorismo fondamentalista. L’esperienza dell’Afghanistan dovrà, pertanto, diventare una pietra miliare nel modo in cui sono condotte le missioni internazionali. Dobbiamo aprire un dialogo politico su come abbiamo gestito questa missione e cosa abbiamo realizzato.

La carestia già in corso probabilmente affliggerà milioni di afghani in maniera più severa di quanto non stia accadendo. È compito della comunità internazionale ridurre la sofferenza dei civili attraverso l’aiuto umanitario e limitare il più possibile le azioni che i talebani potrebbero imporre sulla popolazione, incluse le restrizioni alla salute pubblica e dei servizi sanitari che potrebbero risultare disastrosi vista l’attuale pandemia da Covid-19.

In conferenza stampa a seguito dell’insediamento, i taleban hanno promesso di mantenere i diritti delle ragazze e delle donne all’interno della «cornice della sharia». Tuttavia alle donne è stato chiesto di rimanere chiuse nelle loro case «per la propria sicurezza», e molte donne illustri sono preoccupate per la propria vita ed è stato riportato come ad alcune di esse sia stato vietato l’ingresso negli uffici e nelle università, mentre molte altre hanno abbandonato il proprio lavoro. Lo sport sembra, inoltre, un altro campo della vita sociale che sarà precluso alle donne.

È importante ricordare che negli ultimi due decenni l’ingresso alla scuola primaria per le bambine, nel Paese, è cresciuto dallo 0% a più dell’80% e che i matrimoni forzati sono stati resi illegali. Le donne sono anche entrate nel mercato del lavoro e la loro integrazione nella vita sociale è cambiata drasticamente nel corso del tempo. Vogliamo ricordare ai nostri colleghi nel mondo l’importanza di ascoltare la voce delle donne afghane, di condannare ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze, di condannare l’esclusione delle donne dalla partecipazione alla sfera pubblica del Paese e nel ricevere un’istruzione. Le generazioni future stanno già guardando al mondo occidentale in attesa di vedere se i valori e gli obiettivi delle nostre istituzioni supporteranno le necessità dei tanti che stanno soffrendo. Non possiamo deluderli.

Marta Grande, M5s, è presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ed è stata presidente della Commissione Esteri alla Camera

Emilie Moatti, laburista, è presidente della Commissione affari Esteri e Difesa della Knesset, sottocommissione sulla politica estera e public diplomacy, ed è presidente della delegazione israeliana all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa

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