sabato 9 aprile 2011
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Nel 2010 il potere di acquisto delle fami­glie è diminuito: poiché i consumi inter­ni sono aumentati dopo la brusca diminuzio­ne del 2009, la quota di risparmio è diminuita. Se anche qualche segnale di minima ripresa si vede sul fronte economico, così, su quello del­la famiglia i segnali restano negativi.La variazione al ribasso della quota di ri­sparmio, infatti, non è un episodio congiun­turale, ma è la continuazione di una tenden­ziale diminuzione in atto ormai dal 2002: si tratta di un dato strutturale che rispecchia le crescenti difficoltà economiche delle fami­glie italiane, accentuate oltre che dalla crisi, dall’invecchiamento della popolazione. Un minore volume di risparmio rallenta a sua volta la dinamica degli investimenti delle fa­miglie e delle imprese, il che si traduce in mi­nori opportunità di occupazione, soprattut­to per i nuclei più giovani. Vi è il rischio che ciò determini il perdurare di un ristagno del­­l’attività produttiva, che purtroppo deve or­mai archiviare il primo decennio del secolo con un deludente livello del prodotto pro-ca­pite, nonché della spesa pro-capite delle fa­miglie, che nel 2010 sono stati inferiori al 2000: è stato un decennio perduto ed è cruciale ri­conoscere questo dato di fatto per uscire dal­la spirale di torpore economico del Paese.Un’analisi del come le famiglie italiane stan­no attraversando la crisi evidenzia forti di­sparità: le famiglie più in difficoltà, che regi­strano significative diminuzioni dei consu­mi, son quelle più giovani, al di sotto dei 40 anni, con 2 o più figli e con un medio reddi­to familiare. Si riconoscono, in queste carat­teristiche sociali, le famiglie delle generazio­ni più giovani, con un reddito più incerto se non precario, ma che fanno del loro meglio per conservare le speranze sul futuro: questa è la fascia generazionale con il più elevato po­tenziale di dinamismo, essenziale per dare stabilità allo sviluppo della domanda e della produzione interna, a condizione di poter contare a propria volta su un orizzonte eco­nomico stabile. Ma questo è anche purtroppo il paradosso di un Paese che non riesce a valorizzare la ri­sorsa più preziosa e scarsa e cioè l’enorme potenziale di sviluppo delle generazioni più giovani: l’aumento continuo del tasso di di­soccupazione fra i giovani sfida la saggezza convenzionale di chi crede nelle virtù spon­tanee del mercato e richiama all’urgenza di una politica economica coraggiosa e senza facili scorciatoie. Come quella di contrap­porre lavoratori giovani precari a lavoratori maturi e garantiti, sia perché molte delle cer­tezze passate dei lavoratori maturi sono sta­te travolte da una crisi economica struttura­le sia perché si vuole così dimenticare che i lavoratori più anziani sono i padri di quelli più giovani e non si capisce quale sia il beneficio economico del giovane se il padre o la madre perdono il lavoro.Il Paese ha il bisogno di riprendere un cam­mino di crescita della produttività, ma supe­rando il grande equivoco secondo cui ciò si­gnifica produrre sempre di più del medesimo oggetto in un’ora di lavoro. Il lavoratore te­desco guadagna di più perché contribuisce con la qualità del suo lavoro a produrre beni e servizi di elevata qualità: questa è la sem­plice ma fondamentale aritmetica del valore aggiunto per addetto. È fondamentale co­niugare l’obiettivo di una riduzione del debi­to pubblico con la crescita economica, la pro­duttività e l’aumento del potere d’acquisto, perché se così non fosse è fondato il rischio che alla riduzione del debito si accompagni una riduzione della produzione e soprattut­to si perda, insieme a un altro decennio, an­che un’altra generazione.
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