Non lasciamo soli i poveri
martedì 18 ottobre 2022

Non abbiamo mai avuto così tanti poveri assoluti in Italia: quasi 5,6 milioni di persone, il 9,4% della popolazione. Ma questo lo sapevamo già, almeno da quando l’Istat a giugno ci ha consegnato le ultime statistiche relative al 2021. E, anche solo intuitivamente, possiamo già stimare che in questo 2022, soprattutto a partire dal secondo semestre, i numeri siano ulteriormente peggiorati con un’inflazione ufficiale all’8,9% e bollette a livelli mai visti. Ciò che invece il Rapporto Caritas sulla povertà ci fa (ri)scoprire è chi in particolare si sta impoverendo, che cosa cerca oltre al sostegno immediato e in quale contesto maturano i suoi bisogni. E questo fornisce delle piste di intervento, sia per meglio mirare gli aiuti nel breve periodo sia per impostare politiche di più lungo respiro.

Il primo dato che emerge con forza nel dossier intitolato 'L’anello debole' è che «i livelli di povertà continuano a essere inversamente proporzionali all’età»: la percentuale di poveri assoluti si attesta infatti al 14,2% fra i minori (quasi 1,4 milioni bambini poveri) e al 5,3% per gli over 65. Non solo, tra il 2020 e il 2021 l’incidenza della povertà «è cresciuta più della media per le famiglie con almeno 4 persone, i nuclei con persona di riferimento di età tra 35 e 55 anni, i bambini di 4-6 anni, le famiglie degli stranieri e quelle con almeno un reddito da lavoro», perché il lavoro è troppo spesso precario e sottopagato.

Ennesima conferma che il principale sostegno oggi previsto – il Reddito di cittadinanza – resta fondamentale, non è possibile neppure ipotizzare di eliminarlo, ma va decisamente ritarato perché oggi 'copre' solo il 44% dei poveri assoluti e 'penalizza' in particolare le famiglie con figli rispetto ai singoli, gli stranieri non residenti da almeno 10 anni e chi abita nei grandi centri del Nord rispetto ai piccoli Comuni del Sud, dove la vita costa decisamente meno. Anche in questo caso non si tratta di novità assolute, ma di nodi messi in evidenza da diversi studi e già posti all’attenzione del governo (allora Draghi) dalla commissione presieduta da Chiara Saraceno. Assieme ad altri suggerimenti, ad esempio per contrastare il lavoro in 'nero' e favorire quello pure occasionale dei percettori del sussidio.

L’inclusione al lavoro è fondamentale, così come esiste l’esigenza di controlli più efficaci contro le truffe, questo però non cancella la necessità di correggere e confermare il Rdc quale strumento indispensabile di contrasto alla povertà.

Il secondo dato significativo è che aumenta il numero di persone che si rivolgono alla Caritas non solo per ricevere beni e servizi, ma anzitutto per essere ascoltate e consigliate. Perché la povertà non dipende solo dalla mancanza di lavoro. È un fenomeno multifattoriale che richiede risposte non esclusivamente economiche ma più spesso di natura sociale. Sbaglia tanto chi si illude che basti qualche migliaia di navigator per far sparire la povertà, quanto chi ritiene che sia sufficiente rendere più severe le regole d’accesso ai sussidi per risolvere il problema. Ciò chiama in causa le istituzioni e le forze sociali presenti sul territorio, quelle più vicine alle persone bisognose. I Comuni devono poter rafforzare i loro servizi, sfruttando bene anche le risorse del Pnrr, e il Terzo settore va coinvolto e agevolato nella sua missione di accompagnamento delle persone.

Il terzo aspetto importante messo in luce dal Rapporto Caritas è che la «povertà si eredita» molto più della ricchezza. Ben il 59% di chi oggi è povero è cresciuto in famiglie povere (il 66% al Sud). L’ascensore sociale, come si nota da tempo, è bloccato. Anzi, ora sembra funzionare solo in discesa, con il 48% di persone povere e a basso titolo di studio che sta peggio rispetto ai genitori.

Gli effetti sono devastanti: indagando in 6 diocesi sulle storie di famiglie povere da almeno tre generazioni, emerge come alle ristrettezze economiche si sommino bassa autostima, sfiducia, mancanza di speranza e progettualità, che – in contesti già difficili – portano a una sostanziale paralisi della volontà, amplificando il disagio. Quelle presenti oggi nel nostro Paese sono diseguaglianze che generano miseria e conflitti, da contrastare con politi-che adeguate – anche per questo, oltre che per la pace, si manifesterà il 5 novembre –, interventi educativi e la “presa in carico” delle persone.

L’emergenza che il nuovo governo si troverà ad affrontare, perciò, non è semplicemente quella di un incremento delle bollette e dei prezzi che colpirà tutti i cittadini, con però effetti ben diversi tra una famiglia e l’altra. Le misure tampone, allora, saranno sì necessarie, ma ancor di più lo sarà cominciare almeno a correggere quelle distorsioni del sistema economico e sociale che finiscono per generare diseguaglianze e povertà. È il compito alto della politica, questo. Ma che la politica dev’essere cosciente di non poter svolgere da sola. Vanno ascoltati i poveri, vanno coinvolte le forze sociali. La presunzione di avere già tutte le risposte pronte porta facilmente al fallimento.

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