sabato 3 marzo 2012
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Sta lievitando il dibattito sulla necessità di vietare la pubblicità dei giochi d’azzardo e di rivedere i criteri di rilascio delle licenze e delle concessioni in materia di giochi e scommesse. E anche nelle sedi parlamentari e di governo l’attenzione si concentra (finalmente!) proprio su questi temi. È veramente un’ottima notizia. La storia ci ha mostrato che i tempi di crisi sociale – e di decadenza morale – vedono sempre la crescita della superstizione, della magia, delle scommesse. La stessa sorte ci è toccata in questi decenni di decadenza civile, dove il vuoto lasciato dalle ideologie è stato riempito principalmente dal mercato for-profit e dagli speculatori, che hanno riciclato "a scopo di lucro" anche questi elementi irrazionali e tendenzialmente autodistruttivi degli esseri umani. Tutto fa brodo nella tavola dei ricchi Epuloni. E così in tante zone grigie della periferia dei mercati sono cresciuti, troppo e male, dei cespuglioni che hanno un urgente bisogno di essere potati e riportati entro i limiti richiesti da una società che vuole definirsi (ed essere davvero) civile. Ma è il caso di allargare un po’ il discorso. Una delle zone della 'città dell’uomo' troppo trascurate e inselvatichite è, infatti, quella della pubblicità rivolta ai bambini. Negli Usa ad esempio, nell’arco di venti anni, la spesa totale in pubblicità tv diretta a questo target è aumentata di oltre 100 volte, e in Europa e in Italia la situazione non è purtroppo diversa. La pubblicità inserita all’interno dei programmi per bambini e ragazzi è una vera e propria anomalia e patologia del nostro sistema capitalistico. L’aspetto più grave (e di difficile comprensione) è la quasi totale assenza di attenzione e protesta nei confronti di questa sistematica e scientifica aggressione verso i nostri figli, se si eccettuano alcune voci troppo isolate (una interrogazione al Parlamento europeo, alcune denunce delle associazioni familiari, ciclici articoli e approfondimenti sulle pagine di questo giornale, il documentato sdegno di studiosi come l’economista Stefano Bartolini). Studi clinici hanno ormai mostrato che indurre al consumo i bambini – soprattutto quelli/e sotto i 12 anni – produce disturbi cognitivi, ansie, obesità, e le tipiche patologie di cui sono sempre più vittime i più piccoli nella società dell’iper-consumo. Tanto che in alcuni Paesi europei (Svezia, Francia) si stanno prendendo provvedimenti seri per combattere il fenomeno, con una particolare attenzione alla pubblicità dei prodotti alimentari. Quando in Italia? Non si tratterebbe, ovviamente, di abolire tout court la pubblicità sui prodotti rivolti ai bambini (anche queste imprese debbono vivere e crescere), ma semplicemente di regolamentarla. Ad esempio, la pubblicità su tali prodotti non dovrebbe essere rivolta direttamente ai bambini-consumatori ma ai genitori; e quindi non essere inserita nelle fasce orarie e nei programmi specifici per i bambini, ma in quelle per gli adulti. C’è invece qualcosa di immorale e di sbagliato nel rivolgersi, con tecniche di seduzione e persuasione molto sofisticate, ai bambini i quali poi tra l’altro, pongono in essere pressioni di ogni tipo nei confronti dei genitori, una dinamica che deteriora la qualità delle relazioni in famiglia. Un giocattolo produce un miglioramento della qualità relazionale in una famiglia quando è un dono libero dell’adulto al bambino; produce invece effetti opposti quando l’oggetto del desiderio indotto arriva al termine di una estenuante trattativa originata da una pubblicità aggressiva di cui sono oggetto proprio i piccoli. Un discorso analogo riguarda la crescente pubblicità commerciale negli spazi scolastici. Il mercato è una faccenda per adulti, perché richiede la capacità di discernimento e responsabilità. Invece la società dei consumi, per usare l’efficace espressione del politologo americano Benjamin Barber, ha bisogno di «adulti bambini e bambini adulti». Teniamo, allora, i bambini fuori dall’azione dei mercanti cercatori di profitti, e accompagniamoli – a partire dalla famiglia – perché arrivino preparati all’incontro con il mercato e con il consumo, come cittadini responsabili e creativi. L’infanzia deve essere il regno e il tempo della gratuità, perché se nei primi anni di vita non sperimentiamo la gratuità e il dono da adulti saremo dei pessimi lavoratori e imprenditori. Oggi si parla sempre più di decrescita, ma la decrescita veramente buona e urgente non è quella del Pil, ma quella della dimensione economica e mercantile all’interno della vita. Ci sono troppi venditori che dalla voce della radiosveglia mattutina fino a notte inoltrata cercano di piazzare, promuovere, spingere prodotti. Dobbiamo proteggere alcuni luoghi del vivere dalla mercificazione del mondo: e un luogo cruciale per il mondo di oggi e di domani è certamente quello dei bambini, che sono troppo importanti per essere ridotti a consumatori. Hanno tutto il diritto, e noi abbiamo tutto il dovere, di crescere in un villaggio 'a più dimensioni' e non in un triste supermercato globale.
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