mercoledì 18 aprile 2018
Una delle sofferenze che portano è un sottile senso di solitudine, perché sentono che la generazione adulta non è disposta o non è preparata ad essere punto di riferimento per loro
Nell’ascolto dei giovani un’alleanza che nasce
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«Ma che cosa ne sapete voi di noi?». È la domanda indispettita di una ragazza verso i suoi genitori che facevano alcune considerazioni non proprio benevole sui giovani; una reazione che apre almeno a due considerazioni: la facilità con cui gli adulti presumono di conoscere il mondo giovanile e il desiderio dei giovani di essere guardati con occhi liberi e ascoltati con attenzione. Ascoltare è un esercizio tanto prezioso quanto difficile: esso esige attenzione verso l’altro e la disponibilità a distogliere almeno un poco l’attenzione da sé; in tempi di esasperato individualismo ed egocentrismo, esercizio tutt’altro che semplice. Non solo: ascoltare significa anche non presumere di sapere già, di conoscere l’altro, la sua storia, i suoi sogni e le sue paure; significa saper considerare quella dimensione di mistero che ciascuna persona sempre racchiude in sé. Eppure vi è stato un periodo in cui diverse personalità della cultura e della politica sembravano andare a gara a coniare etichette con cui stigmatizzare presunti difetti dei giovani: sdraiati, bamboccioni, schizzinosi, indifferenti, ecc., una pratica che ha mostrato una sostanziale non conoscenza dell’animo giovanile e che non ha fatto altro che accrescere la distanza già rilevante tra le generazioni.

Vi sono tanti modi di ascoltare, almeno quanti sono gli scopi dell’ascolto: la curiosità, il bisogno di capire, il desiderio di stabilire con l’altro una comunicazione che può farsi sintonia profonda, condivisione, apertura al dialogo. Chi ascolta veramente è sempre disponibile a mettersi un po’ in gioco, a rivedere le proprie posizioni, a lasciarsi un po’ cambiare dalla relazione. Chi ascolta, comunica all’altro il suo interesse per lui e gli riconosce la dignità di interlocutore, lo ritiene portatore di un’esperienza, di un pensiero, di esigenze importanti. Tutto questo è tanto più vero quando ad essere ascoltati sono i giovani e a mettersi in atteggiamento di ascolto è quella generazione adulta che spesso si sente disorientata davanti ad atteggiamenti e comportamenti che stenta a comprendere. «Non capisco i giovani di oggi!»: è una delle tante espressioni che capita di sentire sulla bocca di sacerdoti, educatori, genitori, insegnanti che giorno per giorno sono alle prese con il difficile compito di accompagnare i giovani nella loro crescita e nelle loro scelte.

Il senso di estraneità che gli adulti provano di fronte al mondo giovanile è uno dei sintomi della vastità dei cambiamenti che interessano oggi le nuove generazioni, così profondi e rapidi da giustificare l’impressione degli adulti di non comprendere i giovani che vivono loro accanto. Questo però non motiva il fatto che ci si chiuda in una reciproca estraneità senza fare uno sforzo di conoscenza e soprattutto di ascolto dei giovani: del loro modo di interpretare la vita, delle loro attese, delle loro inquietudini, dei loro progetti. I giovani sono sempre portatori di una novità da decifrare, a maggior ragione lo sono i giovani di oggi, espressione di quel cambiamento antropologico che è in corso da quando la tecnologia più sofisticata e avanzata ha modificato il loro modo di entrare in relazione con la realtà, con se stessi, con gli altri, modificando il modo di dare senso alle esperienze fondamentali della vita. Così, ascoltare i giovani significa raccogliere indizi del mondo che verrà e preparasi ad affrontarlo con loro. La distanza che la velocità dei cambiamenti in atto ha creato tra le generazioni rende particolarmente importante l’ascolto: è un modo per capire e anche per far sentire l’attuale generazione giovanile meno sola.

Chi ascolta i giovani, sa che una delle sofferenze che essi portano dentro di sé è un sottile senso di solitudine, perché sentono che la generazione adulta non è disposta o non è preparata ad essere punto di riferimento per loro, che devono affrontare una situazione inedita e in essa devono orientarsi, trovare il proprio posto, riuscire a mettere a frutto le risorse che sono consapevoli di avere per la società. Papa Francesco, che i giovani sa ascoltarli, nel discorso che ha rivolto loro in occasione dell’incontro presinodale del 19 marzo, ha ammesso: «Troppo spesso siete lasciati soli». L’ascolto è l’unica condizione per instaurare con i giovani una relazione che possa aiutarli a crescere, che li sostenga, che li aiuti a diventare i protagonisti che sono chiamati ad essere nella società e nella Chiesa, per loro stessi e per la loro famiglia. Dall’ascolto può nascere una nuova alleanza tra le generazioni, necessaria a giovani ed adulti, che forse non si rendono conto che senza un confronto aperto e vivo con i più giovani, il loro contributo alla vita della società e del mondo intero è destinato ad avvizzire e a perdere di vitalità. Dei giovani ha bisogno la società; dei giovani ha bisogno la Chiesa. Essi sono la componente innovativa di ogni contesto umano: solo con loro, comunità umana e cristiana potranno vivere quella perenne rigenerazione che impedirà loro di essere fuori tempo, di invecchiare e di diventare insignificanti.

Il Sinodo dedicato ai giovani e verso il quale è incamminata la Chiesa sarà un’esperienza di discernimento corale e comunitario. È stato preceduto da un’intensa esperienza di ascolto dei giovani, attraverso un questionario online e attraverso molti incontri di giovani che nelle diocesi, nelle città, sui territori sono stati interpellati perché facessero sentire la loro voce. Nel cammino preparatorio di questo Sinodo la Chiesa ha detto ai giovani di aver bisogno di sentire la loro voce, di ascoltare le loro domande, le loro inquietudini, le loro critiche, il loro cuore. È un ascolto fortemente voluto da Papa Francesco che ritiene che vi sia bisogno di questo: «Questa Riunione presinodale vuol essere segno di qualcosa di grande: la volontà della Chiesa di mettersi in ascolto di tutti i giovani, nessuno escluso. E questo non per fare politica. Non per un’artificiale 'giovano-filia', no, ma perché abbiamo bisogno di capire meglio quello che Dio e la storia ci stanno chiedendo. Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio». L’ascolto è un modo per coinvolgere, per suscitare responsabilità: il Papa è consapevole che il futuro della Chiesa e il necessario processo di rinnovamento non potranno avvenire senza il coinvolgimento e il contributo dei giovani.

Del resto tra Papa Francesco e i giovani si è stabilito da subito un rapporto di fiducia profonda, immediata: i giovani vedono in lui un punto di riferimento, si sentono interpretati dalle sue parole schiette, vere e semplici, sentono che il modo con cui egli guarda a loro non ha nulla di strumentale o di retorico, ma è desiderio di vedere la realtà del mondo e della Chiesa con i loro occhi. Papa Francesco sa che le parole dei giovani potranno essere dure, potranno forse anche ferire: «A volte, evidentemente, voi non siete, i giovani non sono il premio Nobel per la prudenza. No. A volte parlano 'con lo schiaffo'. La vita è così, ma bisogna ascoltarli. Qualcuno pensa che sarebbe più facile tenervi 'a distanza di sicurezza', così da non farsi provocare da voi. (...). I giovani vanno presi sul serio!». E con questa consapevolezza, Papa Francesco ha ripetutamente invitato i giovani ad esprimersi senza paura, con libertà, perché la Chiesa ha bisogno di conoscere ciò che effettivamente essi pensano. L’auspicio è che la lezione che Papa Francesco ha dato alla Chiesa e alla società intera faccia scuola; non sia l’impegno passeggero di una stagione, ma divenga l’abituale stile di relazione tra generazioni che non possono che crescere e far crescere nella reciproca alleanza.

*Coordinatrice Osservatorio Giovani Istituto Giuseppe Toniolo


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