Nella cruna dell’ultimo ago
sabato 25 febbraio 2023

Senza uscire dalla porta, conoscere il mondo!
Senza guardare dalla finestra, vedere la Via del cielo.
Più lontano si va, meno si conosce.
Perciò il santo conosce senza viaggiare, conosce le cose senza vederle, compie senza azione

Tao Tê Ching, XLVII

Siamo arrivati, anche questa volta, alla fine del commento di Ester. Sono passati nove anni da quando, in quel benedetto 16 febbraio 2014, iniziammo, grazie alla fiducia rischiosa del direttore Marco Tarquinio, questo viaggio biblico che chiamammo “Viaggio al termine della notte”, prendendo in prestito la felice espressione di Céline. Nessuno pensava, all’inizio, che diventasse un viaggio così lungo e impegnativo, snodatosi attraverso quattordici libri dell’Antico Testamento; un viaggio meraviglioso che, a Dio piacendo, continuerà. Abbiamo viaggiato dentro una notte oscura dell’Occidente e della Chiesa, tra crisi economica, pandemia, malattie e guerre; ma in qualche notte particolarmente chiara abbiamo, tra le lacrime, intravisto sulla linea dell’orizzonte anche un lembo di terra promessa, e non era una fata morgana. Abbiamo viaggiato stando fermi e fedeli nel nostro posto di vedetta – in compagnia di Isaia e di tutti profeti, insieme a Rispa e alle tante donne-sentinelle nascoste nella Bibbia. Insieme a Ester.

Oggi termina la storia della giovane donna, poi della regina, infine dell’eroina che insieme allo zio Mordecai salvò, con grande intelligenza e coraggio, il suo popolo riuscendo a far ritirare dal re Assuero il decreto di sterminio del crudele visir Aman. Ora, alla fine, Ester esce di scena, e tornano protagonisti i due uomini che avevano aperto il libro: il re Assuero e l’ebreo Mordecai. E in questo suo lasciare vuoto il palcoscenico possiamo leggervi un messaggio decisivo che attraversa molte pagine grandi della Bibbia. Ester ha svolto bene il suo compito e alla fine torna alla sua vita ordinaria, tra le mura del suo palazzo, e non la vedremo più. Come Mosè, come Noè. Non sappiamo cosa le accadde dopo, se divenne madre, se restò sposa del re pagano. Non lo sappiamo, perché non serve saperlo. Le storie bibliche non sono mai biografie dei suoi personaggi. Ci viene raccontata solo quella pagina, o quella riga di storia che si inserisce in una storia più grande. E allora le parti incompiute dei suoi protagonisti parlano sempre molto. Non sappiamo come finì la storia di Geremia né quella di Osea e di nessun profeta: il loro finale non ci è dato, né l’inizio.

Conosciamo solo un brano dell’opera, perché anche lo Stradivari del primo violino dell’orchestra deve suonare nel suo momento, e poi tacere. Per questo la Bibbia non ha timore di mostrarci i suoi personaggi nelle loro miserie, limiti e peccati di storie incompiute e imperfette. Non sono modelli etici da imitare se non per la loro capacità di ricominciare il cammino dopo ogni caduta. Non restiamo allora stupiti se in alcuni antichi manoscritti greci (il Testo Alfa) alla fine del libro di Ester troviamo queste parole: «Tutto il popolo ha gridato a gran voce e ha detto: “Benedetto sei, Signore, che ti ricordi delle alleanze fatte con i nostri padri. Amen”» (10,9). Questo è l’umanesimo biblico che non annulla né sminuisce l’individuo mentre lo inserisce dentro l’orizzonte più grande del dialogo tra Dio e il suo popolo. In realtà lo innalza, perché quelle imprese personali diventano un brano di un discorso talmente importante da rivelarsi infinito e così giungere fino alla nostra anima dove quelle storie si fanno anche le nostre e quell’infinito continua ad espandersi in un infinito di “ordine superiore”.

Il testo ebraico, invece, termina in anti-climax, con un capitolo dieci composto di tre soli versetti: «Il re impose tributi a tutto il regno sia per terra che per mare… Mordecai era uno che cercava il bene del suo popolo e che parlava a favore della prosperità di tutta la sua gente» (10,1-3). Ritorna l’economia, arrivano persino le tasse, ritroviamo la grande ricchezza di Assuero con cui si era aperto il libro (1,4). La Bibbia ama molto parlare con le parole dell’economia, semplicemente perché ama la vita. E quindi sa che la vita è molte cose ma è anche, e per i poveri soprattutto, economia: pane, cibo, lavoro. L’economia biblica non è l’oikonomia dei greci, non sono le leggi (nomos) della casa (oikos). Nell’umanesimo biblico l’economia è anche e prima di tutto un linguaggio di Dio, dove la ricchezza è parola di benedizione. Questa “economia della salvezza” è cresciuta tanto fino a diventare troppo importante, e così la stessa Bibbia ha inserito al suo interno dei dispositivi di auto-difesa dalla sua stessa religione della prosperità. Questi dispositivi si chiamano Giobbe, Qoelet, lo shabbat, i profeti; tutti insieme hanno smorzato e relativizzato il linguaggio religioso dell’economia fino a dirci una verità opposta: che i poveri sono i prediletti di YHWH, che la ricchezza diventa facilmente idolo, che il Messia, da sempre e per sempre atteso, porterà una nuova economia dove tutto sarà condiviso nella comunione e i poveri saranno riscattati. Ma soprattutto la Bibbia, durante l’esilio e nella sconfitta, ha imparato che c’è una benedizione nella piccolezza: è la benedizione del piccolo resto, la beatitudine degli sconfitti e dei poveri, la felicità del granello di senape e del piccolo gregge.

Nell’ultimo capitolo di Ester della versione greca (LXX) troviamo poi questa bella frase: «La piccola sorgente che divenne un fiume, la luce che spuntò, il sole e l'acqua copiosa: questo fiume è Ester, che il re ha sposato e costituito regina» (10,3c). Ester all’inizio era una piccola fontanella, alla fine è diventata un grande fiume. Lo abbiamo visto. Ma la Ester che più ci ha conquistato e commosso non è l’acqua impetuosa del capitolo nove, quando, è ormai divenuta potente e forse sedotta da quel potere quasi onnipotente. Infatti, la domanda che il re, suo marito, le ripete: «Che cosa chiedi ancora? Ti sarà dato?» (9,12), potrebbe indicare una sottile forma di corruzione, perché Ester lì sembra dimenticare che aveva ottenuto tutto non per la sua forza di regina ma per la sua debolezza di vittima (ringrazio la mia amica Anouk Grevin per questa intuizione, e per molte altre). La Ester che vogliamo ricordare è allora la giovane fragile che dice “se devo morire, morirò”, che poi sviene davanti al re e agisce per fedeltà a una misteriosa voce, tenue e fortissima. È la piccola sorgente che è diventata infinita senza diventare grande, per suggerirci che l’unica strada buona che abbiamo nella vita è fare l’impossibile per restare piccoli, per custodire qualcosa dell’innocenza della giovinezza. Sta qui tutta la buona fatica del vivere, provare a restare piccoli e alla fine poter passare, senza accorgercene, nella cruna dell’ago che sta nelle mani dell’ultimo angelo.

Ancora nel testo greco troviamo un estremo indizio nelle parole di Mordecai: «I due draghi siamo io e Aman» (10.3d). Qui il testo fa riferimento al sogno di Mordecai del primo capitolo: «Due enormi draghi avanzarono, tutti e due pronti alla lotta» (1,1e). Un dettaglio e una spiegazione importanti. Sebbene Mordecai interpreti la parte buona nella tragedia, in realtà anche lui è un “drago”. Il testo ce lo ha celato per tutto il libro, ma alla fine ce lo svela. Quasi sempre nelle guerre i draghi cattivi e tremendi sono più di uno. Chi lotta contro il drago se lo dimentica, è convinto di interpretare la parte di san Giorgio, ma alla fine tutto si svela. La Bibbia però è più saggia di noi, e ci dice questa verità profonda e spesso scomoda ma utilissima per capire i conflitti, le guerre e i draghi delle nostre storie e dei nostri imperi.

Infine, importante è anche la conclusione (greca) del libro: «Nell'anno quarto del re Tolomeo e di Cleopatra, Dositeo, che diceva di essere sacerdote e levita, e Tolomeo, suo figlio, portarono in Egitto la presente lettera sui Purìm, e dissero che si trattava della lettera autentica tradotta da Lisìmaco, figlio di Tolomeo, residente a Gerusalemme» (10,3l). Questo Tolomeo con buona probabilità è Tolomeo VIII, quindi siamo attorno al 114 a.C. L’autore ci dice che quel testo greco del libro si trovava in Egitto, in una comunità della diaspora, e vi era giunto dalla Palestina. Dal secondo libro dei Maccabei sappiamo che «Giuda [Maccabeo] ha raccolto tutti i libri andati dispersi per la guerra che abbiamo avuto e ora si trovano presso di noi. Se ne avete bisogno, mandate qualcuno che ve li porti». (2 Mac 2,14-15). Il libro di Ester è forse uno di questi libri che “qualcuno” dall’Egitto andò a prendere a Gerusalemme, un libro salvato durante le fughe e le molte guerre. Qualcuno lo custodì, e grazie a lui abbiamo Ester. La Bibbia è anche una grande storia di custodia, un canto all’accudimento della parola, delle parole e dei libri. Ogni bibliotecario, ogni persona che crea e custodisce una biblioteca privata o pubblica è dentro la Bibbia, anche se non lo sa.

Abbiamo voluto intitolare questo commento a Ester “Stella dell’assenza”. La stella è il significato persiano del nome Ester; l’assenza è quella del nome di Dio, che non compare in questo libro. Assenza del nome, non assenza di Dio. Perché il Dio biblico è presente soprattutto nella sua assenza. Nel libro di Giobbe, per esempio, Dio è più presente nelle domande disperate di Giobbe che nelle risposte di Dio a lui, e se volessimo fare una selezione delle pagine bibliche più spirituali sceglieremmo parole e gesti di uomini e di donne: la preghiera di Anna, il Magnificat, il canto di fedeltà di Rut per Noemi, la fedeltà assurda di Osea, l’intero salterio dove Dio lo troviamo nelle urla e nelle grida di uomini schiacciati e sofferenti che non ottengono risposta, l’Immanuel di Isaia, il palato incollato di Ezechiele. Perché il Dio biblico è il primo che attiva processi e non occupa spazi, che non occupa il nostro spazio. Ci fa spazio perché siamo figli, liberi e belli come Ester, che, salutandola, ringraziamo per un’ultima volta per averci insegnato la Bibbia e la vita.


E insieme a Ester ringrazio ciascuno di voi lettori, che, anche questa volta, ci avete accompagnato nel cammino. Un grazie che ogni volta è uguale, che ogni volta è diverso, perché diversi siamo diventati noi e il mondo. Grazie a Marco Tarquinio, perché ogni articolo nasce e cresce nel dialogo generativo con lui, un dialogo che in questi anni non si è mai interrotto e poi è continuato nelle email, lettere e commenti di voi lettrici e lettori, che diventano sempre preziosa materia prima delle pagine scritte. Domenica prossima torneremo all’economia, l’altra anima del mio lavoro. Parleremo di economia perché anche noi, come la Bibbia, amiamo la vita, soprattutto i poveri. Dopo ogni incontro con un personaggio biblico la mia visione dell’economia è cambiata, ha preso l’odore e il colore delle storie scoperte e raccontate. Chissà cosa diventerà dopo Ester?! Un’altra buona ragione per dire grazie, e arrivederci.

l.bruni@lumsa.it


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