mercoledì 29 marzo 2023
La fiducia incontrastata nel mercato è messa in discussione, come il mito della crescita illimitata. Rispetto al 2008 i nuovi problemi hanno una natura diversa, ma anche la risposta è cambiata
Nuove e antiche paure sono emerse con la crisi creditizia di queste settimane

Nuove e antiche paure sono emerse con la crisi creditizia di queste settimane - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Il fallimento della Silicon Valley Bank, il salvataggio ultra-assistito di Credit Suisse, le montagne russe delle azioni di Deutsche Bank rappresentano un sistema bancario globale scosso da profondi tremiti, in preda al potenziale collasso della fiducia. Tornano alla mente i due anni orribili del 2008-09, quando il fallimento di Lehman Brothers scaraventò la finanza mondiale in una gimcana oscillatoria impazzita, ovvero le crisi dei debiti sovrani europei nel 2010-12, allorché nei Paesi “periferici” dell’Eurozona si assisté al crollo di vari istituti bancari. Un osservatore superficiale potrebbe pensare che il sistema bancario sia intrinsecamente fragile e che queste crisi si manifestino con una certa periodicità.

Invece, gli esperti sanno che fino agli anni Settanta quello del banchiere veniva descritto in America come il mestiere ben pagato ma noioso del “3-6-3”: paghi il 3 per cento sui depositi raccolti dai risparmiatori, incassi il 6 per cento sul credito concesso ai debitori e alle 3 del pomeriggio vai a giocare a golf. Quello delle banche era il più sicuro di tutti i settori: regolato e protetto. Tutto sarebbe cambiato con la deregolamentazione e le liberalizzazioni dagli anni Ottanta in poi. Da allora, i banchieri sarebbero diventati figure sfolgoranti e trendy, ma le crisi bancarie e finanziarie sarebbero cresciute in frequenza e intensità, per di più spostandosi dalla periferia – specie nei Paesi emergenti – al centro dell’economia mondiale – come col fallimento di Lehman nel 2008.

Ma dove ci sta portando il ripetersi delle crisi finanziarie oggi? Per intuirlo dobbiamo ricordare quali ragionamenti portarono a deregolamentare e liberalizzare il settore bancario e finanziario per poi capire se quegli orientamenti stiano sopravvivendo alla prova dei fatti. Deregolamentazione e liberalizzazioni del settore bancario vennero accompagnate e rinvigorite da un’inversione nella visione mainstream dell'economia. Se fino ai primi anni Settanta dominava la visione keynesiana – favorevole all’intervento pubblico nell’economia – in seguito l’approccio dominante si è spostato verso una visione neoliberista, a supporto incontrastato dei metodi del libero mercato. Per il sistema bancario e finanziario, ciò ha promosso la concezione che andavano rimossi lacci e lacciuoli in modo che la finanza andasse a sostenere le attività più profittevoli, favorendo così una crescita economica più intensa.

Tuttavia, una seconda inversione nell'approccio mainstream all'economia si è messa in moto dopo che la crisi del 2008-09 ha colpito il cuore dell'economia mondiale. Emblematica la visita della regina Elisabetta II alla London School of Economics per inaugurare un nuovo edificio accademico. La regina ha chiesto al professor Luis Garicano, direttore di ricerca del dipartimento di management della LSE, come lo scoppio della crisi abbia potuto cogliere di sorpresa così tanti esperti di economia, «Perché nessuno se ne è accorto?». Spiegando le origini e gli effetti della crisi finanziaria, Garicano ha risposto: «In ogni fase qualcuno si affidava a qualcun altro e tutti pensavano di fare la cosa giusta». Chiaramente, la risposta di Garicano alla domanda ingenua della Regina non è stata convincente e ha messo in discussione la validità dell'approccio neoliberista all'economia.

Sebbene i nuovi sviluppi nella disciplina economica appaiano ancora non sistematici, vi è crescente consenso che dobbiamo andare oltre l'approccio neoliberista all'economia. Ad esempio, quasi la metà dei 17 vincitori del Premio Nobel per l'economia negli anni ’90 erano neoliberisti e solo uno (Amartya Sen) era latore di una visione alternativa; dal 2000 al 2022, invece, 15 dei 48 premiati (quasi uno su tre) portavano visioni alternative mentre solo 7 (meno di uno su sei) erano neoliberisti. E, ancora, la fiducia incontrastata nel mercato viene messa in discussione da shock negativi che potrebbero degradare l'ordine economico mondiale dall'internazionalizzazione illimitata alla possibile deglobalizza zione. Possiamo identificare i più importanti tra questi shock negativi con la pandemia di Covid-19 iniziata nel 2020 e con l'invasione russa dell'Ucraina all'inizio del 2022. Già nel 2010, per la verità, Bruce Nussbaum preconizzava sull'Harvard Business Review che «Il consenso politico internazionale sui benefici economici universali della globalizzazione che ha caratterizzato gran parte del XX e dell'inizio del XXI secolo sta crollando. Le forze centrifughe che spingono le nazioni verso la globalizzazione stanno cedendo il passo alle forze centripete che le allontanano da essa». Dal punto di osservazione che abbiamo oggi, a marzo 2023, Nussbaum aveva visto giusto. E, in effetti, quelle forze centripete che allontanano le nazioni dalla globalizzazione hanno acquisito molta forza con la pandemia di Covid-19 e l'invasione russa dell'Ucraina.

L'ultimo grande fattore di cambiamento che va menzionato è che la società mondiale si è svegliata dal sogno di una crescita permanente e illimitata all'emergere di acuti problemi sociali (povertà/disuguaglianza) e ambientali. In particolare, un anno fondamentale in questo senso è stato il 2015 quando alle Nazioni Unite è stata firmata l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, la Cop21 di Parigi ha raggiunto l'accordo per limitare il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi e Papa Francesco ha pubblicato la sua Enciclica Laudato si’ che chiama tutte le persone di buona volontà ad adottare comportamenti ispirati ad una “ecologia integrale”. Seguiranno i fatti alle parole, oppure sarà tutto un “bla bla bla”, come sostiene Greta Thunberg? È evidente che se gli impegni per la transizione sostenibile saranno mantenuti un effetto collaterale sarà quello di accantonare il pensiero neoliberista a vantaggio di un incisivo interventismo pubblico. Il superamento dell’egemonia neoliberista e le emergenze socio-ambientali hanno pervasive implicazioni per banche e finanza. Essendo all’avanguardia nelle politiche per la transizione sostenibile, già dal 2018 l’Unione Europea ha istituito un Piano d’azione per la finanza sostenibile che – in parte aiutato dall’enucleazione di una propria tassonomia – sta agevolando la crescita prorompente di questo nuovo segmento finanziario (basti pensare ai Green Bond e alla finanza Esg).

Al tempo stesso, l’Ue ha varato nel decennio passato l’Unione Bancaria che è stata essenziale per superare la fase di instabilità bancarie al tempo delle crisi dei debiti sovrani. Per l’Unione Bancaria si prevedevano tre pilastri. Il primo, il Meccanismo Unico di Supervisione (Ssm) in capo alla Banca Centrale Europea è stato completato con successo già dal 2014. Il secondo, l’Autorità Unica di Risoluzione (Srb) bancaria è stato istituito poco dopo, sebbene persistano dubbi residui sulla sua piena efficacia specialmente in situazioni di crisi bancarie sistemiche. Il terzo, lo Schema Europeo di Assicurazione dei Depositi (Edis) non è stato attuato perché sono mancate le condizioni politiche.

In questa situazione di possibili crisi di fiducia e attacchi speculativi alle banche europee ritenute più fragili, l’assenza del terzo pilastro (Edis) innalza il rischio di instabilità bancaria nei Paesi dell’Eurozona i cui bilanci pubblici consentono meno margini di manovra per predisporre i supporti finanziari che si rendessero necessari. Di conseguenza, per escludere dissesti bancari che possano essere evitati, la Banca Centrale Europea sarà chiamata a elargire i suoi supporti di liquidità in misura più generosa di quanto non avrebbe fatto in condizioni di mercato normali. Non a caso, il giorno in cui Deutsche Bank è finita sotto attacco speculativo la Presidente Christine Lagarde ha dichiarato che non avrebbe lesinato le forniture di liquidità che la principale banca tedesca avesse richiesto.

In conclusione, pur avendo in comune con la crisi finanziaria del 2008-09 il dissesto di alcune banche più esposte, la fase di instabilità bancaria avviata dalla crisi della Silicon Valley Bank pare in complesso differente. È differente l’origine delle perdite che hanno fatto cadere nella polvere la banca: perdite su titoli di stato venduti per generare liquidità per la banca californiana vs le perdite sui titoli “spazzatura” di Lehman. Ma, e soprattutto, è differente il pensiero dominante che si sta affrancando dal neoliberismo e dalla visione fideistica del libero mercato per lasciare che il mercato, nella sua fisiologica imperfezione, torni a essere uno strumento al servizio dell’intera società umana e rispettoso della casa comune, piuttosto che un totem a vantaggio di pochi e latore di soprusi sull’ambiente.

Ordinario di Economia, Lumsa

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: