Caro direttore,
in questo 2022 continuiamo a tenere viva la luce verde accesa per la prima volta al confine tra Polonia e Bielorussia nelle case di cittadini che non accettano la logica del muro e dell’uso dei migranti come arma di ricatto. Uomini e donne di buona volontà sono rimasti vigilanti come i pastori in quella notte di Betlemme. La luce verde di chi accoglie, protegge e salva, deve rimanere accesa in Polonia e in tutta Europa, non spegniamola con la nostra indifferenza. Non lasciamoci prendere dallo sconforto, dall’impotenza, dall’immobilismo indotto dalle nostre comodità, sicuri nelle nostre case di europei che vivono nel privilegio, riservato a un numero sempre più esiguo di fortunati che non conoscono la guerra, la persecuzione, la violazione dei diritti umani e il buio della dittatura.
Continuiamo a tenere accese la luce verde della speranza, dell’accoglienza, della solidarietà anche dopo che nel nostro Paese si sarà conclusa la campagna Lanterne Verdi promossa da 'Avvenire' nel tempo di Natale. In Italia, in Europa, ci sono moltissime persone di buona volontà. Sono la maggior parte, silenziosa, che non trova spazio in un racconto sulle migrazioni fatto solo di emergenza e piegato all’interesse di parte. Sono cittadini che fanno della solidarietà gentile e operosa uno stile di vita, che chiedono alla politica un cambio radicale di rotta: basta muri, chiusure, morte. Siamo tanti e diversissimi: ma abbiamo una sola voce nel chiedere di salvare le persone profughe e migranti perché costruire un muro, lasciar morire alle frontiere è politica disumana.
Una luce verde da una finestra è un simbolo, un piccolo gesto, ma che compiamo consapevoli della forza di tante donne e tanti uomini che ogni giorno si impegnano a costruire comunità accoglienti e solidali, che credono nel valore dei diritti umani, tali solo se riconosciuti sempre e a tutti. Si tratta di un piccolo gesto non violento e disarmato a fronte di mobilitazione di soldati alle porte d’Europa. Una luce per non fermare i passi dell’umanità in cammino, per non bloccare rotte e traiettorie, per aprire porte e trovare nuovi modi di accogliere e costruire relazioni, per non essere ostacolo al divenire di una comunità che cresce, arricchendosi delle reciproche differenze che sono sempre dono e mai minaccia.
Fatma e Ali sono due fratelli afghani tornati dopo anni al Centro Astalli per chiedere come far arrivare i familiari bloccati a Kabul. I taleban hanno ucciso due dei loro fratelli, per sbaglio dicono. Le donne della famiglia sono chiuse in casa da mesi, e vivono ormai senza elettricità, gas e con cibo razionato. Le terre che coltivavano da generazioni sono state saccheggiate, depredate, il bestiame rubato. Non hanno più nulla, solo la guerra e il terrore di non avere un domani.
Esmerit dall’inizio della pandemia chiede aiuto per le bollette che si sono fatte care per tutti, e ancora di più per chi è in equilibrio alle soglie della povertà. Ma soprattutto cerca qualcuno che possa aiutarla a sopportare il dolore, a illuminare la sua notte. Ha vissuto per mesi in un carcere libico, dove è stata trattata come un oggetto, un rifiuto. Le guardie entravano nella cella dove era chiusa con le due figlie gemelle di un anno. Lei non urlava per non spaventarle. Esmerit non aveva più latte, non aveva più niente e in quel carcere non ha pianto neanche quando ha visto morire di fame e di stenti le figlie. Lei non piange, non urla, lei cammina ogni giorno, tutti giorni, solo per non restare ferma con il suo dolore.
Hope aspetta un bimbo, 36 settimane di gravidanza, e un dolore grande e ingiusto in questi giorni la abita. Ha perso suo marito per un cancro insorto troppo rapidamente e che non gli ha lasciato scampo.
Capita anche ai rifugiati, oltre a tutto il male subito, di vivere lutti improvvisi, dolori che non hanno una spiegazione. Dolore che si aggiunge al dolore da sopportare ancora una volta soli, lontano dagli affetti cui aggrapparsi, senza reti di sostegno o paracaduti di alcun genere. Eppure Hope la luce verde deve continuare a vederla accesa, per i suoi 30 anni, per suo figlio che nascerà in Italia, per il cammino fatto fin qui.
In questo inizio d’anno contiamo già le vittime alle frontiere d’Europa: una donna è morta assiderata per mettere in salvo i figli al confine tra Polonia e Bielorussia, i naufragi nel Mediterraneo si susseguono nella deliberata indifferenza dei governi e delle istituzioni europee. Respingere indiscriminatamente i migranti, in violazione del diritto internazionale, sembra essere divenuta prassi consolidata e strategia politica che la Ue mette in atto sistematicamente e fino ad ora impunemente. Una luce verde è un atto di responsabilità che supera l’emozione e che genera solidarietà e, ci auguriamo, il cambiamento che da troppo tempo aspettiamo.
Sacerdote, presidente Centro Astalli servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia