martedì 27 aprile 2021
Il rafforzamento delle poste su istruzione, ricerca e innovazione è la via giusta. Il nodo delle misure che non "cubano", non innescano gli investimenti previsti
«Lezioni di pesca» più che altre canne inutilizzabili

Ansa

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La nuova versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) costruita sull’impianto delle versioni precedenti porta a compimento il percorso svolto dal governo Conte II con alcune integrazioni e completamenti rilevanti. Fondamentale ed atteso nella versione finale soprattutto l’inserimento dei cronoprogrammi di attuazione di ciascuna misura perché ciò che preoccupa di più, come ripetuto più volte su queste colonne, non è la posta più o meno insufficiente sull’una o sull’altra voce ma il timore che quanto scritto nel piano non venga poi realizzato nel tempo stabilito. Come era naturale che fosse il Pnrr ha subito delle evoluzioni evidenti se confrontiamo la bozza del 7 dicembre con quella successiva del 14 gennaio fino all’attuale versione del 24 aprile.

Quanto alle differenze relative alle sei missioni principali (digitalizzazione, rivoluzione verde, infrastrutture sostenibili, istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute) spicca la crescita della missione istruzione e ricerca (13 miliardi di euro in più) e salute (6 miliardi in più) e la riduzione di digitalizzazione (5 miliardi in meno) e rivoluzione verde (17 miliardi in meno). Resta la strategia generale dell’impianto (peraltro dettata dall’Unione Europea) di realizzare al 100% iniziative che non devono violare il principio del 'do not substantially harm' (non arrecare un danno sostanziale) alle dimensioni ambientali con la digitalizzazione come strategia chiave per le due riforme principali su tempi della giustizia e della burocrazia che rappresentano i colli di bottiglia del sistema Paese.

La parte fondamentale del futuro del piano (soprattutto la parte di ricerca ed innovazione) si giocherà sulla qualità della partnership pubblico-privato e in generale sul rapporto tra stato e privato in economia. Ogni buon intervento pubblico (diretto o in collaborazione con il privato) deve infatti rispondere in modo soddisfacente alle domande su addizionalità, effetto dimostrativo e moltiplicativo. Ovvero un intervento pubblico è efficace se mette in moto iniziative che il privato non avrebbe comunque realizzato, se moltiplica le energie dei privati in un determinato settore e se dimostra al mercato che è possibile e profittevole agire in un ambito percepito come troppo rischioso. E soprattutto (sembra banale dirlo, ma è la prima cosa) ogni intervento dovrebbe assicurarsi che i fondi 'cuberanno', ovvero che i soldi stanziati siano effettiva- mente spendibili e spesi. Uno scostamento sostanziale tra le cifre previste e quelle effettivamente spese è infatti un 'fallimento' perché vuol dire che quei soldi si sarebbero potuti impiegare su altre voci o missioni (e lo è soprattutto in questo caso perché rischiamo di perdere quei fondi garantiti dalla Ue).

Una parte sostanziale della decurtazione dei fondi dalla missione della rivoluzione verde riguarda l’efficientamento degli edifici. Il governo promette che la proroga dell’intervento al 2023 sarà contenuta nell’altro canale dello sforamento di bilancio della legge finanziaria. È importante chiedersi però, al di là della polemica politica, perché un provvedimento così importante per il quale sono stati stanziati già 18 miliardi stia 'cubando' così poco, ovvero solo 670 milioni agli ultimi dati (la qual cosa spiega perché saggiamente sia stato deciso di ridurre questa posta).

L'efficientamento energetico è una delle vie maestre per la transizione ecologica e l’idea d’incentivarlo è buona e si è rivelata utile a rilanciare l’economia in passato. I limiti dell’iniziativa presente, peraltro più generosa delle precedenti, sono però nella complessità delle verifiche a cui sono chiamati i condomini, che ha scoraggiato molti. Inoltre sarebbe il momento di passare da un approccio monodimensionale di progresso ambientale (fondato sul doppio salto di classe energetica anche a partire dall’ultima e quindi solo sul criterio delle emissioni di CO2 per metro quadro generate da riscaldamento e raffreddamento degli edifici) ad un criterio di qualità dell’abitazione che tenesse conto dell’intero ciclo di vita dei materiali e di altri parametri ambientali a partire dalla qualità dell’aria visto che il 60% circa delle polveri sottili è generato dal riscaldamento di case e uffici. Non dimentichiamo inoltre che il Next Generation EU, per quanto importante, non è l’unica fonte di finanziamento del Paese. Con la prima emissione di Btp verdi l’Italia ha aperto infatti un canale diretto con i mercati internazionali col quale può finanziare a costi equivalenti a quelli del Pnrr gli investimenti pubblici in transizione ecologica di cui si accorgesse di avere bisogno nel prossimo futuro.

Un’altra polemica che ogni tanto affiora sul piano è che ci sarebbe poco per i giovani. La questione però rischia di es- sere malposta. Meglio attribuire formalmente dei fondi ai giovani in un’Italia che non funziona o aggredire i problemi strutturali del Paese per lasciare un’Italia migliore ai giovani ? Si può dire che il potenziamento dell’alta velocità, i fondi aumentati su istruzione, ricerca, dottorati, hub dell’innovazione, transizione ecologica non siano fondi di cui beneficeranno soprattutto i giovani anche se non solo? Nel suo intervento alla Camera il premier ha peraltro sottolineato con preoccupazione il problema demografico del Paese e sottolineato, al di là di questa nostra considerazione generale, alcune misure come il piano asili nido, l’assegno unico e universale, i fondi per il servizio civile universale e l’investimento in materia d’istruzione.

In conclusione l’attenzione accresciuta su istruzione (bello il corso di alta formazione obbligatorio di aggiornamento per docenti e personale amministrativo delle scuole), ricerca e innovazione è difficilmente criticabile. In un mondo con traiettorie tecnologiche così veloci e in cui non abbiamo ancora il 'vaccino' per azzerare le emissioni di CO2, formazione, innovazione e ricerca saranno fondamentali per i nostri giovani e per il nostro futuro. È noto il detto che più che regalare pesce (o canne da pesca che non si sanno utilizzare) bisogna insegnare alle persone a pescare. Nel Pnrr c’è qualche canna da pesca in meno ma più fondi per formare pescatori e per fare innovazione e ricerca su nuove modalità di pesca. La risorsa più importante che abbiamo è la creatività, la competenza e la capacità innovativa delle generazioni presente e futura. Ed è su questa che dobbiamo saggiamente puntare di più. Può capitare a molti di pensare che qualcosa andrebbe modificato, ma bisogna riconoscere con umiltà che la sintesi realizzata durante il percorso con il contributo di tante competenze vale più delle opinioni individuali e che, come ha sottolineato Draghi alla Camera, inizia ora il tempo della realizzazione del piano dove «ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite».

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