Incontro con l'Africa, segno per il mondo
venerdì 6 settembre 2019

Guardare l’Africa. Attirare l’attenzione verso questo continente nel suo insieme, sulla promessa che rappresenta, sulle sue speranze, le sue lotte e le sue conquiste per uno sviluppo umano integrale, un’equa distribuzione delle risorse e una cultura di pace che inviti a prendersi cura della nostra casa comune. È quello che papa Francesco ha inteso e intende fare anche con questo suo secondo viaggio in tre Paesi dell’Africa sub-sahariana. È quello che in molti non fanno. E non intendono fare. Perché non è comodo. Preferendo sfruttarla, l’Africa. Schiavizzarla, incendiarla e depredarla. Anche se continuare a saccheggiarla ci ripresenta sempre il conto. Salato. In termini umani, politici, sociali e ambientali. Che è proprio quello che ritorna a noi, duri ancora a comprendere che siamo tutti sulla stessa barca.

Proprio per questo oggi per noi vale quanto Francesco ha detto nella prima tappa del suo tour africano, rivolgendosi ieri alle autorità mozambicane: «Il perseguimento del bene comune dev’essere un obiettivo primario. È necessario seguire il percorso che porta al bene comune, favorire la cultura dell’incontro che conduce a cercare obiettivi comuni, valori condivisi, idee che favoriscano il superamento di interessi settoriali, corporativi o di parte, affinché le ricchezze della vostra nazione siano messe al servizio di tutti, specialmente dei più poveri». Si tratta cioè delle basi per un futuro di speranza, di dignità, di pace. Basi "urbi et orbi". E che necessariamente comprendono anche la cura della casa di tutti. «Da questo punto di vista – ha continuato quindi il Papa con un indirizzo valido non solo per il Mozambico – questa è una nazione benedetta, e voi in modo speciale siete invitati a prendervi cura di questa benedizione».

E ha aggiunto poi quanto aveva già espresso in altre latitudini all’inizio del 2018, in Perù, dando di fatto inizio al prossimo Sinodo sull’Amazzonia: «La difesa della terra è anche la difesa della vita, che richiede speciale attenzione quando si constata una tendenza a saccheggiare e depredare, spinta da una bramosia di accumulare che, in genere, non è neppure coltivata da persone che abitano queste terre, né viene motivata dal bene comune del vostro popolo». Dal Papa dunque arriva ancora una volta l’appello a una cultura di pace che implichi uno sviluppo produttivo, sostenibile e inclusivo «in cui ognuno possa sentire che questo Paese è suo, e in cui possa stabilire rapporti di fraternità ed equità con il proprio vicino e con tutto ciò che lo circonda». Del resto la visita apostolica in Mozambico, Madagascar e Mauritius si svolge, come la precedente in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, nel solco della Populorum progressio di san Paolo VI, per la quale lo sviluppo di una nazione non si riduce alla semplice crescita economica.

Perché per essere autentico lo sviluppo deve essere integrale, il che vuol dire «volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo». Enciclica oggi più profetica che mai, quella firmata da papa Montini nel 1967. Nella convinzione, sulla scia della Laudato si’, che l’edificazione di un ordine sociale giusto ed equo è strettamente legata a un rinnovato rapporto con l’ambiente, che esige cambiamenti strutturali e personali rispetto a quel paradigma imperante di sviluppo votato al dio denaro che produce scarti e trasforma il mondo in una discarica. In questi Paesi dell’Africa australe la crescita economica è stata evidentemente ostacolata dalla corruzione e dallo sfruttamento rapace delle risorse naturali.

A ciò si aggiunga la piaga dell’esclusione sociale, che penalizza fortemente i ceti meno abbienti. Ma c’è da rilevare che il Mozambico, uscito da una lunga guerra civile, è – come gli altri del continente – un Paese giovanissimo: oltre il 60% della popolazione ha meno di 25 anni e per questo guarda al futuro con speranza, non foss’altro perché le giovani generazioni sono quelle che invocano l’agognato cambiamento all’insegna della concordia e del bene condiviso. Il Papa perciò è attento a segnalare e promuovere tutti quei segni di speranza che pure ci sono, quegli sforzi che si stanno compiendo per la risoluzione dei conflitti, per uno sviluppo sostenibile, per il rispetto e la cura del Creato.

«Per usare un’espressione di san Paolo VI – ha fatto notare il segretario di Stato Pietro Parolin alla vigilia del viaggio –, si può dire che l’Africa è come un laboratorio di sviluppo integrale». Sottolineare proprio questa dimensione di speranza e di sguardo nuovo verso il futuro, a partire dai tanti segni positivi che ci sono all’interno del continente, ribalta così anche l’immagine oscura e reietta che tuttora resiste dell’Africa. Guardandola nelle sue possibilità, nelle sue potenzialità di sviluppo integrale che anche noi dobbiamo ancora realizzar © RIPRODUZIONE RISERVATA

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