Migranti, viene il tempo dell'ordinario coraggio
sabato 15 maggio 2021

Caro direttore,

il Sahel sta attraversando una gravissima crisi socio-politica: attentati, carestia, fame sono solo alcune delle piaghe che affliggono la regione, dove si registra una percentuale di morti tra le più alte e al contempo il livello più basso di democrazia al mondo. L’Afghanistan viene periodicamente dichiarato 'Paese sicuro' dall’Occidente, ma la verità è che non conosce pace da oltre 30 anni. Terrorismo e bombe uccidono e mettono in fuga, come è tragica cronaca anche di questi ultimi giorni.

In Libia fazioni opposte si combattono da anni senza riuscire a dare stabilità al Paese e avviare processi di democrazia. La Turchia incarcera giornalisti, mette a tacere attivisti, discrimina minoranze. Il mondo è sempre più segnato dalle disuguaglianze. Mille tra le persone più ricche hanno in pochi mesi più che recuperato le perdite causate dal coronavirus, ciò che richiederà ai più diversi anni, in una previsione ottimistica. A livello globale la crisi climatica spinge milioni di persone fuori dalla propria casa e dalla propria terra. Alzare lo sguardo per rendersi conto della complessità della mobilità umana è un atto di responsabilità politica che richiede visione, tempi e strategie.

Eppure sembra che, solo quando Lampedusa si riempie di gente che arriva dal mare, sopravvissuti, di quella sparuta minoranza di profughi del mondo che giunge in Europa, l’inevitabile effetto bottiglia, dovuto alla posizione di questa piccola e ospitale isola in mezzo al Mediterraneo, richiama l’attenzione su un fenomeno strutturale che dura da almeno 20 anni.

«Nessuna emergenza! Accade quello periodicamente si ripete! ». Lo dicono bene da Lampedusa. In verità l’emergenza è dei migranti che scappano dall’orrore, che muoiono in mare che subiscono violenze e soprusi di ogni genere in quei Paesi che sono diventati i nostri hotspot della vergogna. Basta chiedere a chi quel viaggio l’ha fatto per capire che non ci sono alternative, non c’è scelta. L’unica alternativa alla morte certa è il rischio di morire: un tragico gioco della probabilità. Mettere in salvo la propria vita, o peggio quella di un figlio, diventa un azzardo, una partita a dadi con la morte.

Scappano in cerca di giustizia, di salvezza, di pace. Parole che sembrano aver perso la loro pregnanza perché il nostro mondo disdegna il grido degli ultimi. L’unica cosa che è rimasta un’urgenza, direi una vera propria emergenza, è il cambiamento. Abbiamo bisogno di politiche ordinariamente coraggiose che aprano vie di ingresso legali, che sostengano un’operazione in mare che salvi vite e le porti in Europa e che investano in accoglienza e integrazione.

Lo chiediamo in tanti con mitezza, ma senza stancarci. Perché come da 20 anni ascoltiamo la urlata retorica dell’emergenza, così noi chiediamo e richiediamo un cambiamento possibile e giusto. Poniamo fine alla stagione della retorica securitaria, della facile propaganda sui migranti, causa di tutti nostri mali.

Esigiamo un cambio di passo, un cambio di linguaggio: i migranti vanno accolti perché ne hanno diritto, perché è giusto e umano farlo. Chi ha il coraggio di assumersi la responsabilità di dirlo e di farlo?

Lo chiede una società civile che si sforza di essere accogliente e disponibile, solidale e partecipe della sofferenza altrui ma che oggi stenta a trovare rappresentata dalle forze politiche questa istanza di umana solidarietà, di pace e di giustizia fraterna.

Sacerdote, presidente Centro Astalli, servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia

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