«Mi pesa sulla coscienza». La Tosca scuote ancora
sabato 7 dicembre 2019

«Questa musica la può scrivere Dio, e poi io»: lo scrisse Giacomo Puccini dopo aver composto Tosca, l’opera lirica che questa sera inaugura a Milano la nuova stagione del Teatro alla Scala. Non era certo un uomo dalle mezze misure, il compositore toscano. Eppure la stesura della Tosca lo mise profondamente in discussione, sia per la tematica che per lo sviluppo del dramma. Non a caso, appena un mese dal debutto della sua creazione annotò: «Tosca mi pesa sulla coscienza come un peccato grave! La falsità del tema mi ripugna e vorrei non sentire più quest’opera».

Ma cos’è Tosca? Un grido disperato, un bacio rubato, uno sguardo pieno d’amore. E ancora l’impeto della primadonna, la fragilità di una innamo-rata, la sete di potere del cattivo, l’onore dell’eroe. Tosca è una cartolina pucciniana dipinta di rosso fuoco. Rosso come il sangue, la passione, l’odio, la rabbia. Il capolavoro del compositore lucchese ha la forza di essere drammaticamente attuale, di gridarci in faccia l’onnipotenza che inquina l’anima di Scarpia, figura magistralmente definita di uomo scaltro, bugiardo, abietto. Non oso immaginare come sarebbe Scarpia oggi, ai tempi dei social network, o forse sì: oggi Scarpia si mette ogni mattina un vestito diverso, ma vive.

Se Scarpia è un modello – molto negativo, ma un modello –, il paradosso è che oggi, invece di passare per carnefice potrebbe sedersi tranquillamente su un piedistallo. Tosca ci racconta la protagonista Floria, una donna che alterna momenti da primadonna sulla scena ad altri, fragili e iperbolici, nella vita reale. Gli argomenti narrati non si sono estinti col tempo: su tutti l’attualità inossidabile del ricatto sessuale, la forza di non cedere, a costo di uccidere. Il tema della violenza sulle donne, sia fisica che psicologica. Quello della parità di genere.

Quante cose può raccontare uno spartito, contenente note e parole. E ancora, una donna che si dispera e lotta davanti all’ingiustizia, che alza gli occhi al cielo mentre interpreta «Vissi d’arte». Puccini ne fa un momento di assoluta spiritualità. La romanza di Tosca è una preghiera, il tempo rallenta un attimo, e la protagonista vede passare davanti a lei tutta la sua vita. Conclude il suo canto come se si aspettasse una risposta dal cielo: «Perché me ne remuneri così?». Quante volte ci capita di alzare lo sguardo al cielo e chiedere 'perché mi è successo questo?'. L’opera pucciniana ci racconta il bene, impersonato dal pittore Mario Cavaradossi, un eroe moderno.

È l’amico, il figlio, il parente che tutti vorremmo avere. Uno che non scende a compromessi nonostante torture indicibili, uno che crede nella parola data, che non tradisce un amico per nessun motivo al mondo. Puccini decide di ambientare il dramma a Roma, centro pulsante del cattolicesimo. Il compositore volle ascoltare personalmente l’effetto delle campane mattutine dai bastioni di Castel Sant’Angelo e studiò minuziosamente la liturgia del Te Deum che chiude il primo atto. Tutto doveva sembrare il più vicino possibile alla realtà. L’opera lirica è il luogo giusto per le esagerazioni, atte a porre lo spettatore davanti a una riflessione. Da portare a casa come un dono.

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