Meno giustizia d'ufficio ha senso ma la mafia non si batte a querele
domenica 15 gennaio 2023

Il diavolo – dice un proverbio molto diffuso, ma nato da un equivoco – si nasconde spesso nei dettagli. Anche in quelli delle leggi? Può capitare, ma non c’è Belzebù dietro ciò che sta mettendo in allarme le Procure della Repubblica, le quali lamentano di essere costrette a impegnare la polizia giudiziaria in un’affannosa rincorsa di vittime di reati per perseguire i quali è divenuta necessaria la querela. E se la ricerca non dà tempestivamente esito si ritrovano, a quanto pare, obbligate a scarcerare anche persone di conclamata pericolosità. Più semplicemente, si tratta forse di uno di quei casi in cui, per trarre il massimo dei risultati da una riforma nel complesso coraggiosa e più che opportuna, se ne dilata con un eccesso di ottimismo l’incidenza di alcune parti, che nella gestione pratica mettono in evidenza dei contraccolpi negativi. Stiamo parlando della cosiddetta “legge Cartabia” e della sua appendice di norme transitorie, pur ritoccate in extremis da un decreto-legge del Governo attuale e ulteriormente modificate dal Parlamento con la conversione in legge, senza però tacitare le contestazioni, venute non solo dai responsabili di diversi uffici giudiziari, ma dalla stessa magistratura associata.

Alla radice, va pur detto, sta un’operazione che è sicuramente positiva nelle finalità e, in via di principio, non censurabile neppure per il mezzo prescelto (pure in ciò proseguendo su una linea già avviata da precedenti riforme): nel campo della delinquenza di minore gravità e offensiva di beni individuali a carattere patrimoniale o anche personale, affidare alla volontà della vittima (vera o presunta) il concedere o il negare il “via libera” al processo penale non soltanto riflette, teoricamente, una intrinseca razionalità oggettiva;, ma può portare a un risparmio di tempi e di energie da parte degli inquirenti (quanto ce n’è bisogno!) e persino a una più autentica e più rapida tutela delle vittime. Se il titolare del diritto di querela non la presenta, il procedimento non inizia ma non si corre il rischio di subire la beffa della prescrizione e, se una volta presentata la querela, la si ritira (o, come si dice nel linguaggio giuridico, la si “rimette”) si arriva a una più immediata soddisfazione del querelante. Il ragionamento non fa una grinza, purché, tuttavia, non si ecceda nel disegnare il perimetro dei reati rientranti ne “trasloco” dalla perseguibilità d’ufficio alla perseguibilità su querela.

E soprattutto purché non si trascuri il rischio che la scelta così lasciata alla vittima venga condizionata da fattori estranei alla sua libera volontà: da questo punto di vista la legge ha giustamente escluso che diventassero perseguibili esclusivamente a querela reati commessi in danno di persona “incapace per età o infermità”, ma resta, specialmente insidiosa, l’eventualità che, pur fuori da queste ipotesi, la vittima sia indotta ad astenersi dal querelare a causa di autentici o temuti ricatti o ritorsioni. Quanto a ciò che maggiormente può preoccupare il cittadino comune, l’allarme è stato lanciato a proposito della perseguibilità a querela di reati commessi con l’aggravante del metodo mafioso (a dire il vero, senza che sia facile capire se a torto o a ragione sul piano della realtà dei fatti e dell’effettiva incidenza della “Cartabia” e non di una situazione normativa preesistente).

Ma qualche altra situazione, contemplata nella recente legge di riforma, può a sua volta non lasciare convinti della bontà della sua inserzione nel catalogo delle innovazioni: così, la minaccia grave ad opera di un recidivo oppure il sequestro di persona non avente lo scopo di estorsione; e dubbi possono sorgere persino per l’ampliamento del novero dei furti fatti rientrare in quel catalogo, giacché si tratta di condotte che saranno pur “minori” per il valore in sé del bene che ne è l’oggetto, ma che tali possono non essere per chi li subisce. Come sempre, attenzione a non trarre motivo da tali perplessità per un dietrofront totale, benché qualche ridimensionamento normativo non debba essere considerato una catastrofe nemmeno da chi abbia a cuore l’essenziale della riforma e il suo collegamento con il potenziamento della “giustizia riparativa”: a sostegno, da un lato, di una effettiva attuazione dell’art. 27 della Costituzione (che vuole la giustizia penale orientata al recupero sociale dei rei), dall’altro, di una tutela autentica delle vittime. Ma a tal proposito non promettono bene certi propositi, che si fanno più forti per il ritorno a una giustizia meramente repressiva nel senso peggiore.

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