Don Patriciello: «Festeggio il mio compleanno... e un anno sotto scorta»
sabato 11 marzo 2023

È passato un anno. Era la notte tra l’11 e il 12 marzo quando una bomba carta fu fatta esplodere davanti al cancello della mia parrocchia, a Caivano. Un messaggio dei camorristi per dire al parroco: «Taci. Non impelagarti in cose che non ti riguardano». Non era la prima volta. «In questo quartiere - mi disse una volta un “capo” con fare minaccioso, dopo avermi fatto “sequestrare” e portare al suo cospetto - non devi mai fare riferimento alle forze dell’ordine, per qualsiasi cosa vieni a casa mia».

Chiedere al boss di tutelare la tua persona? Nemmeno a pensarlo. Un quartiere come il mio, definito “una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa” non può essere considerato un quartiere qualsiasi. Non lo è. Tutti, in particolare i bambini, gli adolescenti, i giovani, debbono sapere da che parte stanno il parroco e la comunità parrocchiale. La demarcazione con la camorra, soprattutto quella ammantata di falso e ipocrita devozionismo, deve essere netta. Senza ambiguità. La camorra vive della e nella menzogna più assoluta. È nemica giurata dell’evangelico “si si, no no”. Ai camorristi piace addirittura fare il bene. Hai bisogno di un prestito? Tuo figlio, tuo marito, in carcere, non possono permettersi l’avvocato? Non riesci a mettere il piatto a tavola o mandare i bambini a scuola? Eccoli che arrivano. Si fanno avanti. Ti aiutano.

Durante i mesi più bui della pandemia, improvvisarono addirittura una sorta di “Caritas”. Ovviamente, gli interessi da pagare dopo sono esorbitanti. Non tanto in denaro, quanto in sottomissione. Per meglio controllare il territorio. Il povero deve diventare funzionale al sistema. Deve tacere o parlare a comando. La sua casa deve essere sempre a disponibile per occultare un involucro, una valigia, una somma di denaro, una pistola, con tutti i rischi che ne seguono. Soprattutto, devono fornire la manovalanza necessaria, i figli, perché la macchina maledetta continui a funzionare. Il povero viene comprato e venduto come se fosse merce. Più è nella necessità meglio è.

Il parroco, invece? Come deve essere il parroco? Misericordioso, buono, comprensivo, generoso, sottomesso. Soprattutto deve rimanere muto nei confronti della stampa e degli inquirenti. Deve stare zitto. Non il silenzio orante del credente, ma quello omertoso del don Abbondio. Glielo ricordano in tanti modi. Se, però, è testardo e si ostina a non capire, loro calcano la mano. Come? Si inizia con le solite intimidazioni, si prosegue con le offese, le calunnie, le minacce; poi, seppure a malincuore, fanno il salto di qualità. Fanno esplodere una bomba carta alle porte della chiesa. Non in una data qualsiasi, ma la notte del suo compleanno. Dettaglio importante. Don Pino Puglisi viene ucciso la sera in cui compie 56 anni. Don Peppino Diana, la mattina del suo onomastico. Lui capisce, la paura prende il sopravvento, e tira i remi in barca. Questo il loro programma.

E, invece, non succede. Lo Stato si fa avanti e mette il parroco sotto scorta. La vita del povero prete, ancora una volta, viene stravolta. Gli sembra di stare dentro un sogno. I primi tempi sono stati duri. Poi ci si abitua. I poliziotti che si prendono cura di te, hanno un nome, un volto, una famiglia. Lentamente diventano tuoi amici, tuoi fratelli. Imparare a vivere in simbiosi. Scrivo anche per ringraziarli. Fare la scorta a un prete è diverso dal farla a un magistrato, a un imprenditore, a un giornalista. Farla a un parroco lo è ancora di più. Occorre avere tatto, pazienza, comprensione, delicatezza verso il luogo sacro e i credenti che lo frequentano. Ai miei “angeli custodi”, queste qualità non mancano. Ringrazio i loro superiori. Un pensiero, carico di affetto e di preghiera, va al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e a papa Francesco, che, in più occasioni, mi hanno espresso solidarietà e stima.

Un anno è passato. Un anno sotto scorta. Un anno in compagnia di persone che per me rischiano la vita. Le prime che vedo la mattina, le ultime cui stringo la mano la sera. A questi uomini invisibili, discreti, e ai loro colleghi sparsi per l’Italia, che permettono il sereno svolgimento del lavoro e della missione di chi è minacciato dalla malavita, va la nostra gratitudine.

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