Marianna, che aveva denunciato ma è stata uccisa due volte
sabato 23 marzo 2019

Chi deve proteggere le donne minacciate dai loro compagni? Chi può fermare la violenza prima che diventi irreparabile? Alle donne in pericolo si chiede di essere coraggiose e di non subire i soprusi in silenzio. Si suggerisce di denunciare.

Ma oggi questi incoraggiamenti, ripetuti in tanti programmi di sensibilizzazione e ad ogni 25 novembre, giorno in cui si celebra la Giornata contro la violenza sulle donne, sembrano un po’ meno sinceri. Un po’ più retorici. E vani. Perché Marianna aveva denunciato 12 volte il marito violento. Ma non era stata protetta, né l’uomo allontanato. A distanza di 11 anni e mezzo da quella tragedia, i giudici della Corte d’Appello di Messina hanno ribaltato il primo giudizio del 2017: no, i magistrati non erano rimasti colpevolmente inerti di fronte alle ripetute richieste d’aiuto della donna, che aveva 32 anni e tre bambini piccoli. Semplicemente Marianna non poteva essere salvata.

Era tutto scritto, il suo destino segnato, nessuno ci poteva far nulla. L’uomo non era pazzo, quindi non si poteva chiedere il Trattamento sanitario obbligatorio. Né una perquisizione domiciliare avrebbe cambiato le cose, perché un coltello come quello con cui ha colpito a morte la poveretta, il 3 ottobre 2007, era facilmente reperibile ovunque. «L’epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato », scrive la Corte. Dunque il risarcimento assegnato ai tre figli per le responsabilità degli organi dello Stato nella mancata protezione della madre, deve essere restituito. Con gli interessi.

Povera, illusa, Marianna, che si era fidata dello Stato, pensando che avrebbe potuto (e dovuto) salvarla. Poveri figli suoi, vittime tre volte: per aver perso la madre, e anche il padre, e per essere stati abbandonati e traditi dallo Stato. Il messaggio che la sentenza manda alle donne italiane (e anche agli uomini, ovviamente) è che qualche volta non serve ribellarsi alla violenza, che in certi casi non c’è nessuno che possa salvarle. Che la tragedia può essere inevitabile. Che lo Stato non può proteggere sempre (ed è successo anche in tempi recenti, che una donna avesse presentato denunce e sia stata lo stesso uccisa).

È vero, nel 2007 non c’era ancora la legge antistalking, ma il codice penale offre – oggi come allora – molte altre possibilità per «avvisare» un uomo che ha superato i limiti consentiti. Il messaggio che arriva agli italiani, dunque, è profondamente ingiusto. Questa sentenza agghiacciante non solo tradisce la memoria di Marianna e oltraggia i suoi figli, ma non fa onore nemmeno alla verità della rete stesa in questi anni a protezione delle donne, né alla sensibilità di centinaia di magistrati e di investigatori formati e addestrati a captare le situazioni di pericolo. Dimostra piuttosto che nessun avanzamento è consolidato. Nessun traguardo, nemmeno a livello culturale, nemmeno tra le élite di questo Paese, è acquisito per sempre.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito infatti ad altre sentenze sbalorditive. A Bologna un ergastolo è diventato una condanna a 20 anni perché l’uxoricida era in preda a una «tempesta emotiva » (è di ieri la notizia che la Procura ha impugnato la sentenza della Corte di assise d’appello); a Genova una sostanziosa riduzione di pena rispetto a quanto chiesto dai pm è stata concessa a un assassino perché reagì a comportamenti particolarmente «provocatori» della moglie. Spetterà eventualmente ai successivi gradi di giudizio esaminare in punto di diritto le sentenze (come è accaduto con l’annullamento di una terza sentenza-choc della Corte di Appello di Ancona, in cui la vittima di uno stupro veniva descritta come mascolina e dunque poco appetibile sessualmente). Il problema evidentemente non sono le singole sentenze, ma la violenza nei rapporti di genere che non diminuisce, i femminicidi a cui ogni giorno assistiamo sempre più increduli.

Una «emergenza quotidiana» che richiede a tutti un supplemento di attenzione: alle forze dell’ordine che raccolgono le denunce delle donne, ai medici che curano le ferite negli ambulatori, ai magistrati che indagano sulle violenze. E anche ai giudici che scrivono le sentenze. Perché il messaggio che tutti insieme mandano al Paese deve essere univoco, inequivocabile, senza tentennamenti: le donne non si toccano, le donne si proteggono. E Marianna non può essere uccisa due volte.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: