martedì 11 novembre 2008
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Un commando di uomini armati che piomba come uno stormo di rapaci, nella notte, su un villaggio al confine tra Kenya e Somalia. Spari, razzie, grida, stridore di pneumatici d'auto che partono a tutto gas. La notte di fuoco a El Wak è confusa, nelle testimonianze dei pochi che terrorizzati da dietro le finestre hanno visto. Di certo c'è che all'alba in quell'agglomerato polveroso di case di frontiera mancano due italiane. Rapite da banditaglia alla famelica ricerca di un riscatto, o nella logica di terra da nessuno che quest'angolo tra la Somalia e il Kenya è diventato, e che non vuole occhi stranieri a testimoni? Caterina Giraudo, da Boves, e Maria Teresa Olivero, da Centallo, hanno 67 e 59 anni. Dai dati anagrafici potresti immaginare due signore con i capelli grigi, nella quiete sonnolenta della campagna cuneese. Invece sono suore dell'Ordine contemplativo missionario Charles de Foucauld, da ben 25 anni in Africa. Non se ne sono andate da laggiù per la guerra, né per la guerriglia tribale che si allarga incontenibile nel momento in cui ogni ordine sociale è cancellato e i profughi vagano abbandonati. Due donne anziane in un universo senza tetto né legge, a duecento chilometri dalla prima città, a un mondo dall'Occidente. In mezzo a una popolazione islamica che tuttavia le amava: perché si prendevano cura dei figli malati, tubercolotici, o epilettici " quella malattia che ancora in molte culture africane è temuta come la oscura maledizione di un dio. Le suore sono dunque rimaste laggiù, quando molti degli occidentali hanno ragionevolmente dovuto andarsene. Possiamo immaginare che non se la siano sentite di abbandonare la loro gente, i loro malati, proprio in un momento in cui la situazione sembra così disperata. Si abbandonano, forse, i figli? Il restare tenacemente in quel cantone d'Africa tanto lontano da ogni memoria di civiltà e di diritto si spiega solo così: non si abbandonano i figli, e tanto meno nell'ora peggiore. Solo una logica di maternità dà ragione del testardo non partire di queste donne, come di moltissime altre nel Terzo mondo, pure nell'epicentro della violenza cieca - quando un minimo buon senso imporrebbe il ritorno. Maternità e paternità come imperativo di un rimanere, che ai più sembra inconsulto. Per farsi capire da "noi", a volte i missionari ti fanno un esempio: «Ma se ne andrebbe da una città in guerra " chiedono ", se i suoi figli avessero bisogno di lei?». E normalmente l'interlocutore risponde di no; e però quei disperati, quei morti di fame, tenderebbe umanamente a obiettare, «non sono vostri figli». Non secondo la carne, certo " l'unica paternità e maternità che la maggior parte degli uomini comprende. Ma testimoniano, le migliaia di missionari che vanno, e rimangono, in terre abbandonate e feroci, di un'altra maternità e paternità, possente e radicale come e più che quella del sangue. E dunque Caterina Giraudo da Boves, Cuneo, e Maria Teresa Olivero da Centallo, sono cadute nelle mani di guerriglieri, o banditi. Si può sperare, si deve sperare di salvarle, in un passaparola popolare che di bocca in bocca raggiunga i sequestratori: non toccatele, curano i nostri figli, sono nostre amiche. A volte i missionari devono molto a questa umile gratitudine di sconosciuti. Ma intanto, mentre si prega che un destino misericordioso riporti a casa le due suore, il pensiero si sofferma ancora, con stupore, su quei loro oltre sessant'anni. L'età in cui "noi" andiamo in pensione, ci curiamo gli acciacchi e non ci spingiamo, nei viaggi, oltre la riviera adriatica. E queste donne invece, e tante come loro, ancora nel cuore della battaglia. Non madri, eppure più madri di molte. A El Wak e nelle altre buie terre di nessuno il mistero più grande non è il rapimento: ma donne e uomini, che vogliono restare.
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