martedì 27 gennaio 2015
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Il trionfo di Syriza nel voto politico greco ha avuto il clamore di una bomba, ma non è affatto detto che ne abbia gli effetti distruttivi. Un ragionamento tecnico (ma non neutrale rispetto alla esigenza di contemperare equità verso i cittadini di un Paese e lealtà verso i partner nella gestione della crisi) può aiutare a coglierlo.I fatti innanzitutto. Alla Grecia in difficoltà Fmi, Bce e altri Stati membri dell’Unione Europea hanno prestato denaro a un tasso non di mercato per rendere il suo debito sostenibile. Una parte importante del debito greco è oggi verso queste istituzioni ed è stato correttamente detto che un (terzo) default della Grecia sarebbe più doloroso per esse (e per noi) rispetto ai due passati che hanno colpito prevalentemente i privati. Una delle variabili chiave che decidono il costo 'reale' di questo come del vecchio debito è il tasso d’inflazione/deflazione. Se tutti i prezzi e i salari salgono da 1 a 10, un debito che ha un valore nominale fisso di 100 vale in realtà adesso 10. Ma se tutti i prezzi e i salari scendono da 10 a 1 il debito adesso 'costa' di più (100 volte e non più 10 volte il salario) e diventa, magari, insostenibile. Se consideriamo come tasso di riferimento il tasso medio d’inflazione/deflazione dell’Eurozona, tale tasso è influenzato dalla Bce e, congiuntamente, dalle condizioni di mercato (prezzo del petrolio e domanda nell’Eurozona). Le politiche della Bce che influenzano la deflazione Ue (secondo gli ultimi dati al -0.1%) incidono anche sulla deflazione greca che è ancora più pronunciata (attorno al -1%) e figlia anch’essa delle politiche del rigore imposte dalle stesse istituzioni internazionali creditrici come 'ricetta' per il risanamento. Ai livelli attuali (175% debito/Pil, modesta crescita tutta da verificare, avanzo primario poco sopra l’1% che testimonia che la Grecia non è più spendacciona) il debito greco continuerebbe a correre, anche perché il suo costo medio attorno al 3% è superiore alla somma di crescita reale più 'inflazione' che non supera lo zero.La 'rinegoziazione' non è dunque il capriccio ideologico del vincitore delle elezioni greche Alexis Tsipras, ma un’esigenza dettata dai fatti. E la responsabilità di essa non è tutta greca. Soprattutto ora che, a costo di notevoli sacrifici, la differenza annuale tra spese ed entrate nel Paese è in ordine. Alla luce di quanto appena considerato, è ragionevole ritenere che la Bce e i Paesi membri della Ue debbano assumersi parte del fardello per quanto riguarda la componente deflazionistica. Evitando che la Grecia arrivi al default e che poi il conto diventi inevitabilmente più salato per tutti. Per capire meglio: è come se un creditore per 'aiutare' il debitore gli pratichi un tasso che rende il suo debito sostenibile (nel caso in questione il 3% che sarebbe l’1% reale nel caso che la Bce garantisse un prossimo tasso d’inflazione europeo al 2%), ma poi attui politiche che di fatto alzano questo tasso rendendolo di fatto non più sostenibile (ovvero una deflazione che aumenta e di molto il tasso reale pagato dalla Grecia).  Una possibile soluzione 'equa' (anche per i negoziati che verranno)sarebbe quella di indicizzare all’inflazione il debito greco. I titoli pubblici a indicizzazione reale (usati in passato in Paesi come Svezia, Israele, Italia) come è noto sono stati ideati per dare un 'segnale ai mercati' che l’emittente non avrebbe usato l’inflazione per ridurre il valore dei propri debiti (e il valore di quanto restituito ai creditori del proprio Paese). Ma possono funzionare anche come 'disincentivo' affinché i creditori non attuino politiche che contribuiscono significativamente a creare deflazione nel Paese debitore alzando ex post l’onere del debito. In alternativa, si potrebbe fissare un tetto massimo all’onere reale del debito (tasso nominale meno inflazione) in modo tale che non superi un livello che si ritiene renderebbe il debito non più onorabile. Entrambe le soluzioni farebbero sì che gli interessi di debitore e creditore (che nel lungo periodo sono allineati nel preferire un debito solvibile a un default) lo siano anche nel breve termine nel quale il creditore può, sia pure in modo miope, approfittare di condizioni di mercato a lui favorevoli (per intascare maggiori rendimenti reali sugli interessi del debito) che però rendono il debito insostenibile e avviano il debitore verso il fallimento.  Al di là delle schermaglie iniziali molto dure, è ragionevole che la trattativa per rendere il debito greco sostenibile favorendo la ripresa del Paese si debba incanalare su questi binari. E infatti già arrivano primissimi segnali in questo senso.
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