venerdì 30 gennaio 2015
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In fatto di agricoltura, siamo un Paese senza memoria, o con la memoria bloccata in un eterno loop. Ripetiamo a noi stessi sempre le stesse 'verità' mai verificate, che condizionano comportamenti alimentari e politiche di governo. Qualche esempio: il vino è una locomotiva del made in Italy, eppure molti pensano che la vitivinicoltura sia ancora quella del metanolo, la truffa-killer del 1986. Ancora: l’avversione ai prodotti chimici è talmente forte che si promuovono dei referendum per vietarne l’uso e alla base vi è la convinzione che l’inquinamento dell’acqua dipenda dall’uso smodato di prodotti agrochimici e che la cerealicoltura sia ancora quella dell’atrazina e del mo-linate, altra emergenza degli anni Ottanta. Pazienza se nel frattempo l’atrazina sia sparita, l’Europa abbia imposto norme severissime, per diserbare ci voglia il patentino e chi ha la mano pesante rischi una sanzione o di vedersi rifiutare il raccolto dai compratori. Non è finita qui: imbesuiti da programmi televisivi superficiali e dall’informazione gratuita e irresponsabile del web, ci aggrappiamo al mito del biologico, senza sapere che se alcuni prodotti bio garantiscono un minor contenuto di residui, altri non possono farlo o sono addirittura dei potenziali vettori di tossine. In questo contesto, ovviamente nel silenzio generale, crolla un altro muro di falsità, che ha giustificato politiche 'repressive' della zootecnia, rendendo talmente complesso e oneroso il mestiere di allevatore che moltissimi ci hanno già rinunciato.  La svolta è nello studio dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale che 'scagiona' gli allevamenti dall’accusa di essere, attraverso le deiezioni animali, i principali inquinatori delle acque sotterranee e chiama in causa fanghi di depurazione e scarichi civili. Sulla base di questi dati, il governo chiederà a Bruxelles di rivedere la direttiva nitrati. L’obiettivo, come ha detto il presidente di Coldiretti Emilia Romagna Mauro Tonello, è «rimuovere i vincoli ingiusti»; ma anche, aggiungiamo noi, cogliere l’occasione per smascherare come e dove nasca questa ingiustizia e avvicinare gli italiani ai risvolti meno conosciuti dell’agricoltura, fatti di tecnologia e di costi, di evidenze scientifiche e leggi di mercato. Informarsi seriamente costa fatica, ma nutrirsi di sentito dire fa male, alla pancia e al portafoglio.
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