sabato 7 agosto 2021
Nella nuova Carta dei princìpi del M5s, scritta da Giuseppe Conte, la «tecnica» è equiparata ai valori eticopolitici, pur essendo un mezzo e non un fine. La sacralizzazione è sbagliata
Giuseppe Conte

Giuseppe Conte - Ansa

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Gli iscritti del Movimento 5 Stelle hanno approvato il 3 agosto il nuovo Statuto e la Carta dei princìpi e dei valori scritta da Giuseppe Conte (ieri eletto presidente del Movimento con una consultazione online tra gli iscritti, ndr). In essa si descrivono brevemente le nuove 5 stelle: Beni comuni, Ecologia integrale, Giustizia sociale, Innovazione tecnologica, Economia sociale di mercato. Questo quintetto è un indubbio progresso perché conferisce al Movimento che oggi esprime i gruppi di maggioranza relativa nel Parlamento italiano una fisionomia politica e una chiarezza programmatica che prima non aveva. Sembra legittimo chiedersi, però, cosa ci faccia la 'innovazione tecnologica' accanto a quattro princìpi e valori di carattere etico-politico. Questi ultimi, infatti, sono concetti non utilitaristici e per definizione positivi, per i quali non esiste una declinazione negativa. L’innovazione tecnologica, invece, è un mezzo, non un fine. Non è un bene né un male in sé, ma è solo uno strumento che può generare effetti positivi o negativi.

Molte innovazioni tecnologiche hanno contribuito a darci una vita più lunga e più sana, una parziale liberazione dal dolore fisico (con gli anestetici), l’aumento della mobilità e della prosperità, e un più diffuso accesso ai beni materiali (per una parte dell’umanità). Ma anche cose meno benefiche: per esempio la sedia elettrica, i gas di guerra, le nuove armi delle due guerre mondiali, le bombe atomiche, l’eroina e il talidomide, i pesticidi più nocivi, le plastiche che dilagano nei nostri oceani, i macchinari che moltiplicano centinaia di volte l’intensità della pesca industriale, della deforestazione e dell’estrazione di carbone, petrolio e gas. L’innovazione tecnologica è per sua natura ambivalente. È per questo che non ha senso elevarla al rango di un valore. Così come non avrebbe senso chiedere se si è pro o contro 'la tecnologia'. Già parlare di 'tecnologia' invece che di 'tecnologie' sottintende che la tecnologia sia una sola, sempre benefica e in qualche modo una categoria etico-politica, come 'democrazia' o 'giustizia'. Oggi si fa un uso ancora più ideologico della parola 'tecnologia': l’industria digitale l’ha sequestrata, facendone il sinonimo esclusivo dei propri prodotti. Come se non fossero tecnologie anche un pannello solare, una protesi di titanio, un drone da bombardamento o una rete per la pesca a strascico.

Il ritmo delle innovazioni tecniche ha scandito la storia nei millenni, dando perfino il nome alle sue epoche: l’età della pietra, del ferro, del bronzo. Negli ultimi due secoli, però, il ritmo delle innovazioni tecniche ha subìto un’accelerazione prima impensabile, che ha fatto raddoppiare per tre volte la popolazione umana, da uno a otto miliardi di persone. Nelle ere precedenti ci erano voluti millenni per un raddoppio della popolazione. Nel ventesimo secolo, poi, l’ulteriore accelerazione delle innovazioni tecniche ha creato letteralmente 'Qualcosa di nuovo sotto il sole' come s’intitola il libro dello storico dell’ambiente John Mc-Neill.

In un solo secolo, infatti, i livelli dei principali parametri materiali della nostra civiltà si sono moltiplicati più di quanto avessero fatto nei millenni precedenti e più di quanto potranno fare in futuro. Nello spazio di una vita umana, la popolazione mondiale è raddoppiata due volte, l’uso di energia e le emissioni di CO2 si sono moltiplicati sedici e tredici volte, la produzione industriale quaranta volte. Dalla seconda metà del secolo scorso, poi, la velocità delle innovazioni tecniche e delle loro conseguenze è ulteriormente cresciuta con quella che McNeill chiama, nel titolo del suo ultimo libro, 'La Grande accelerazione'.

La portata planetaria degli effetti delle principali innovazioni tecniche dell’ultimo secolo ha raggiunto tali dimensioni da indurre la comunità scientifica a coniare il termine di Antropocene per definire l’era geologica in cui viviamo, nella quale le attività umane sono ormai un fattore bio-geofisico che modifica la superficie del pianeta.

Nell’Antropocene, le più significative innovazioni tecniche di portata ecologica hanno ulteriormente accresciuto gli impatti delle attività umane sulla Terra. Per esempio, le emissioni di gas serra, l’alterazione dei cicli planetari dell’azoto e del fosforo, il degrado della biodiversità, l’acidificazione degli oceani, il rilascio nell’ambiente globale di materiali e di sostanze artificiali. Il rapido aumento del livello di questi parametri ha indotto un’équipe di trenta scienziati di diversi Paesi coordinati da Johan Rockström a proporre nel 2009 il concetto di confini planetari ('planetary boundaries'). Questi sarebbero delle soglie per nove parametri ecologici globali da non superare per restare in «uno spazio sicuro per l’umanità». Insomma, mentre molte innovazioni tecnologiche hanno allungato la nostra vita, molte altre la stanno mettono sempre più in pericolo.

Non avrebbe senso fare un bilancio aritmetico degli effetti delle innovazioni 'buone' e di quelle 'cattive'. Se però guardiamo agli ultimi due secoli di innovazioni tecniche, osserviamo che una prima fase fu dominata da progressi spettacolari del benessere umano, mentre una seconda fase è dominata dalla creazione di minacce spettacolari per il genere umano. Le innovazioni tecnologiche di cui abbiamo più urgente bisogno, quindi, sono quelle che ci permetterebbero di ridurre i crescenti effetti planetari delle innovazioni tecnologiche che li hanno innescati. Invece della ' innovazione tecnologica' tout court, dovremmo qualificare quali innovazioni vogliamo, per esempio le eco- tecnologie che ci permettono di risolvere i problemi, invece di crearne di nuovi. Si tratta quindi di «dare una direzione al progresso», come dice Ernst Ulrich von Weizsacker, il fondatore del Wuppertal Institut.

L'attribuzione di una stella da parte del M5s alla 'innovazione tecnologica' si adegua alla spirito del tempo. La semplice parola 'innovazione', infatti, è ripetuta come un mantra nei discorsi di molti economisti, politici e pubblicitari. Ma innovazione di cosa? Innovazione per chi? Sacralizzare l’'innovazione tecnologica' suggerisce implicitamente che tutto ciò che è nuovo sia migliore di tutto ciò che è vecchio.

Nell’epoca dell’Antropocene, invece, occorrerebbe celebrare la conservazione non meno dell’innovazione. In certi casi, infatti, il progresso consiste nel tornare sui nostri passi. Guardiamo all’alimentazione, per esempio. I cibi a 'chilometro zero' non sono altro che quelli che i nostri nonni chiamavano 'nostrani' (che bella parola!). I cibi 'bio' senza pesticidi, mangiare meno carne, la 'città dei quindici minuti', sostituire i colletti consumati delle camicie, riparare le cose invece di buttarle via. È proprio così che vivevano i nostri nonni e che dobbiamo tornare a vivere. Il restringimento del campo dell’innovazione all’ambito della 'tecnologia' rispecchia il paradigma dominante, secondo il quale innovazione vuol dire unicamente sostituire un manufatto vecchio con uno 'innovativo' o, meglio ancora, creare il bisogno di un manufatto 'innovativo' di cui prima non si sentiva la mancanza.

L'uso dominante del termine 'innovazione' dà per scontato che l’innovazione sia solo materiale. Come se l’innovazione sociale non esistesse. Ciò vuol dire ignorare che per esempio una grande par- te dei progressi di longevità e di salute furono dovuti non a nuove medicine, ma a 'innovazioni sociali' come il miglioramento delle condizioni di vita, di alimentazione, di igiene e di lavoro. Vuol dire anche ignorare che l’aumento di produttività dei sistemi industriali fu dovuto non solo a nuovi macchinari, ma anche a nuove organizzazioni del lavoro nelle fabbriche (il lavoro infantile e femminile, la catena di montaggio) e a nuove pratiche economiche e finanziarie.

Anche oggi, quindi, se si dà peso all’'innovazione tecnologica', non meno peso andrebbe dato alla 'innovazione sociale'. In molti casi, infatti, le innovazioni sociali ottengono risultati non minori di quelli delle innovazioni tecnologiche. Si pensi al car sharing (condivisione di auto pubbliche) e alle comunità energetiche per l’autoproduzione, il consumo e lo scambio di energie rinnovabili (legge 8/2020). O si pensi all’aumento della mobilità ciclistica e di quella con i mezzi pubblici, ai gruppi d’acquisto di prodotti biologici, al decrescente consumo di prodotti animali, ai mercati e allo scambio di manufatti usati, al principio dell’economia circolare che privilegia il riuso e la riparazione rispetto alla produzione di nuovi manufatti.

Purtroppo nessuna di queste considerazioni è esposta nel breve testo che descrive la stella 'Innovazione tecnologica' nella nuova Carta dei princìpi e dei valori del M5s. Che, forse, di preferenza, potrebbe invece esprimere la necessità di 'eco- innovazioni tecniche e sociali'. Un esame delle carte dei valori dei partiti verdi tedesco, europeo e mondiale ci indica alcuni valori guida: autodeterminazione della persona, libertà, partecipazione, democrazia, rispetto per le diversità, pace, non violenza.

È interessante notare che tra i dodici valori-guida menzionati in questo articolo solo la 'innovazione tecnologica' definisce qualcosa che può essere comprata e venduta, mentre gli altri undici valori si riferiscono a concetti positivi astratti che motivano comportamenti concreti. Il M5s nacque in opposizione alle convenzioni e alle idee dominanti. In un’epoca in cui la distorsione e la sacralizzazione dei concetti di 'innovazione' e di 'tecnologia' è un pilastro del potere, il Movimento farebbe probabilmente bene a chiedersi se la 'innovazione tecnologica' valga davvero una stella.

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