I vescovi e le fatiche degli italiani
martedì 24 gennaio 2017

Il terremoto e il maltempo, il dolore per le tragedie e la solidarietà che apre squarci di speranza; la povertà che morde e il fine vita che sfida l’umano. C’è tutta l’urgenza della realtà nelle parole con cui il presidente della Cei ha aperto ieri pomeriggio i lavori del Consiglio permanente. La realtà, appunto, di un Paese che si trova ad affrontare una serie di emergenze "contingenti" – un lunghissimo sisma e l’ondata di maltempo sul Centro Italia – senza nel contempo riuscire ad aggredire le emergenze "strutturali" che piegano e piagano il Paese, come la crescente povertà e fragilità delle famiglie.

Non c’è spazio, allora, nella sobria riflessione del cardinale Angelo Bagnasco per la politica politicante, il risultato del referendum, il cambio di governo, il dibattito sulla legge elettorale che, facile prevederlo, da oggi tornerà a dominare la scena politica e mediatica. È la realtà, sono i drammi personali e collettivi, a gridare quelle che dovrebbero essere le priorità su cui concentrare l’attenzione. A cominciare, ovvio, da chi da mesi ha perso la casa per il terremoto, soffre lo sradicamento dalla propria comunità, avverte tutta la precarietà di un futuro cui sono state recise le solide radici che aveva. A costoro, «la Chiesa continuerà a offrire un contributo concreto ed efficace», spiega l’arcivescovo di Genova. Di vicinanza spirituale e umana, anzitutto. Ma anche pratica e fattiva con lo stanziamento di 1,3 milioni di euro di fondi dell’8xmille prima e con i 22 milioni raccolti con la colletta nazionale nelle parrocchie con i quali, attraverso le Caritas diocesane è stato possibile «intervenire con risposte ai bisogni primari, con la realizzazione di alcune strutture polifunzionali e l’avvio dei primi progetti sociali e di sviluppo economico». Perché, Bagnasco lo sottolinea, «la tragedia – che tale rimane – ci sta consegnando anche il volto migliore del nostro Paese, della nostra gente, pronta a mettere in gioco la propria vita per salvare quella altrui; disposta a rinunciare a qualcosa di proprio per condividerlo con chi tutto ha perso».

È il volto migliore della solidarietà, della condivisione che continua a manifestarsi anche nei confronti dei richiedenti asilo nel nostro Paese e verso coloro che, immigrati, vivono, studiano e lavorano assieme a noi e meritano di essere riconosciuti cittadini a pieno titolo, ma anche di uno Stato che deve saper tutelare chi è più fragile e senza mezzi. Come le persone in povertà assoluta, passate da 1,8 a 4,6 milioni negli ultimi 10 anni. Sono volti, non statistiche, persone e non numeri, che spesso hanno trovato risposta ai loro bisogni nelle Caritas locali, nella presa in carico dei volontari di associazioni e confraternite, ma che oggi hanno necessità di interventi più strutturati e selettivamente universali. Per questo, sottolinea Bagnasco, «sembra necessario prestare la massima attenzione alla legge delega di introduzione del Reddito d’inclusione (Rei) e alla predisposizione del Piano nazionale contro la povertà». Attenzione: si tratta di un passaggio urgente ma al tempo stesso delicato.

La legge delega è finalmente approdata alla discussione generale in commissione al Senato dopo il sì estivo della Camera. Una parte del governo ha premuto perché il tutto fosse trasformato in un decreto da approvare subito, altri perché al testo in discussione non sia apportata neppure una modifica, così da evitare una terza lettura a Montecitorio. L’intenzione è apprezzabile, ma si dimentica forse che non basta introdurre il Rei al più presto: occorre farlo bene e soprattutto accompagnarlo con un adeguato Piano nazionale contro la povertà. Il rischio, altrimenti, è che il Rei nasca "prematuro", sia sostanzialmente ridotto a sussidio monetario, senza tutta quella serie di servizi di presa in carico delle persone in povertà che sono essenziali per favorirne l’uscita dalla condizione di miseria. Ecco perché occorre «prestare la massima attenzione» a non ridurre ora il grande e urgente obiettivo della lotta alla povertà a un gagliardetto da esibire – purché sia – alla prossima consultazione.

Fare in fretta, quindi, ma fare bene chiede il presidente della Cei, stupendosi nel contempo di come «tutti i provvedimenti a favore della famiglia – che potrebbero non solo alleviare le sofferenze, ma anche aiutare il Paese a ripartire – facciano così tanta fatica a essere portati a effettivo compimento». C’è, in questo, uno strabismo del mondo politico spiegabile solo per l’effetto di lenti ideologiche.Da un lato, infatti, sono pressoché ignorati i bisogni tanto avvertiti quanto generalizzati delle famiglie; dall’altro viene enfatizzata la necessità di una risposta politica a singoli casi estremi di malattia e sofferenza. «Ci preoccupano non poco le proposte legislative che rendono la vita un bene ultimamente affidato alla completa autodeterminazione dell’individuo», sottolinea con forza Bagnasco.

Perché «sostegni vitali come idratazione e nutrizione assistite, ad esempio, verrebbero equiparate a terapie, che possono essere sempre interrotte». Ecco il rischio che continuamente si corre: alterare la realtà, anziché cambiarla davvero, semplicemente modificando il nome delle cose: chiamare 'ricostruzione' ciò che, per ora, è semplice 'ricovero' dei senza-casa, 'sostegni alla famiglia' dei piccoli bonus, 'terapia' il nutrimento vitale di ogni essere umano, 'autodeterminazione' ciò che in effetti è abbandono del malato e rescissione dei legami affettivi. Una dissociazione dalla realtà, una logica del suicidio – personale e sociale – alla quale, lo ricordano i vescovi, non possiamo arrenderci.

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