giovedì 16 aprile 2015
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Il presente testo è tratto da un articolo più ampio pubblicato su 'Luoghi dell’Infinito' di aprile. Milioni di persone, nei secoli passati, avvicinandosi alla Sindone hanno potuto scorgere in quella debole immagine dai contorni sfuggenti il rimando alla vicenda storica di Gesù di Nazareth. Ma nel 1898 con la prima fotografia eseguita da Secondo Pia emerse con chiarezza ciò che fino ad allora si poteva solamente intravedere: un volto, in tutta la sua singolarità. L’impressione fu grande; senza tutto l’armamentario critico di noi postmoderni, agli occhi di coloro che guardavano si svelava semplicemente il volto di Cristo: eccolo finalmente.  Paul Claudel fu tra questi: «È lui! È il suo volto! Questo volto che tanti profeti e tanti santi hanno desiderato ardentemente di contemplare... ciò che traspare meglio su questa nobile fisionomia così tremendamente martoriata è un senso di straordinaria pace, di solennità unita a dolce serenità e a calma profonda, senza tracce di passione umana e senza impronta di debolezza. Si resta conquistati dalla sua nobiltà, dalla sua maestà, dalla sua serietà, dalla sua tristezza. È davvero il volto di un morto che è risuscitato».   Nei decenni successivi gli scienziati hanno cercato la verità di quel volto, ma forse non è questa la strada per svelarne il mistero. Altri, più semplicemente, lo hanno guardato come si guarda qualsiasi volto, e anche la Chiesa ha continuato a mostrarlo nonostante le obiezioni e le critiche. La Sindone è un telo ma anche e soprattutto una immagine; per vederla non occorre essere credenti né scienziati. Quella immagine parla di Gesù, immediatamente. Così, tanto l’umile pellegrino come i pontefici davanti alla Sindone meditano le vicende dei Vangeli e, accompagnati da quel volto, ne ricevono un aiuto di immedesimazione. Paolo VI, nel messaggio in occasione della prima ostensione televisiva del 1973, raccontò la sua impressione quando poté vedere nel 1931 il volto sindonico proiettato su di un grande schermo, e il fascino che ne emanava: «Qualunque sia il giudizio storico e scientifico che valenti studiosi vorranno esprimere circa cotesta sorprendente e misteriosa reliquia… il volto di Cristo, ivi raffigurato, ci apparve così vero, così profondo, così umano e divino, quale in nessuna altra immagine avevamo potuto ammirare e venerare; fu quello per noi un momento d’incanto singolare».   Venticinque anni dopo, in occasione dell’ostensione del 1998, Giovanni Paolo II valorizzò il ruolo della scienza («la Sindone è provocazione alla intelligenza»), ma allo stesso tempo ne indicò anche le condizioni invitando gli studiosi ad agire senza posizioni precostituite, «con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti». La sua meditazione ci ha lasciato parole che sono ormai entrate nel lessico di chiunque si accosti alla preziosa immagine: «La Sindone è specchio del Vangelo» e quindi allo stesso tempo riproduzione fedele ma anche e solamente umilissimo segno e rimando. La Sindone è anche «immagine della sofferenza umana», quella esperienza che in varia misura attraversa l’esistenza di ogni persona e permette di riconoscere in quell’uomo uno di noi, ma è anche immagine della violenza e ricordo che il male rimane una possibilità della libertà di ciascuno. Quel discorso si concludeva sul senso di apparente impotenza e sul silenzio cui sembrano richiamare quei tratti tristi ma composti.  In una specie di ideale passaggio del testimone, papa Benedetto XVI nel 2010 ha voluto ripartire proprio da quel silenzio e da quella impotenza ma riferendoli a Dio stesso: Dio dopo «i lager, i gulag, Hiroshima e Nagasaki». La Sindone 'icona del Sabato Santo', quel misterioso intervallo di tempo in cui Dio stesso sembra tacere e invece è il tempo del seme che germina sotto terra. La Sindone può parlare anche agli uomini di questo tempo proprio perché parte da una apparente negazione: «Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più luminoso di una speranza che non ha confini».  E infine l’ultima meditazione di papa Francesco che nel 2013 offriva il suo messaggio in occasione dell’ostensione televisiva. Col suo stile incisivo, in poche frasi, faceva emergere un’altra esperienza che tanti pellegrini vivono di fronte alla Sindone, quella dell’essere guardati: «Questo Volto ha gli occhi chiusi, è il volto di un defunto, eppure misteriosamente ci guarda, e nel silenzio ci parla». E in effetti forse solo per questo si va alla Sindone, non per chiedere qualche cosa ma per vedere e per essere guardati; essa ci ricorda che alla fine tutto si risolverà nella contemplazione di uno sguardo di amore posato definitivamente su di noi, e non ci sarà più nulla da chiedere. *Presidente della Commissione diocesana della Sindone
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