venerdì 6 dicembre 2019
L’Agenzia nazionale Anvur è impegnata in un progetto di valutazione delle competenze trasversali: gli studenti migliorano nel tempo le loro capacità, così pesa meno il contesto di provenienza
(Foto d'archivio, Ansa)

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Sono di martedì scorso i dati dei test Ocse-Pisa nelle scuole superiori, che hanno dato un quadro allarmante (pur con forti variazioni secondo le aree geografiche) della competenza dei quindicenni italiani in lettura, scienze e matematica. Questi risultati permettono di valutare in modo il più possibile oggettivo la preparazione degli studenti della secondaria, al di là delle votazioni riportate nel proprio istituto.

Qualcosa di simile si sta facendo a livello nazionale anche per l’università. Finora, per avere un’approssimazione della qualità della formazione impartita negli atenei, si è prevalentemente preso in esame il numero di laureati in corso o quello degli studenti iscritti.

A partire dal 2012, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (Anvur), nell’ambito della valutazione dei processi di assicurazione della qualità (sistema Ava - Autovalutazione, Valutazione Periodica e Accreditamento), si è impegnata in una diffusa sperimentazione frutto di un nuovo approccio alla misurazione della qualità della didattica.

È interessante notare che proprio poche settimane fa gli interventi più innovativi sono stati recepiti nel decreto ministeriale n. 989/2019 relativo alle Linee Generali di indirizzo della programmazione delle università 2019-2021.

Il primo intervento riguarda la sperimentazione di prove standardizzate per valutare sia le competenze specifiche dei corsi di studi, sia le competenze linguistiche, numeriche e di risoluzione di problemi (le cosiddette competenze trasversali).

Le prove trasversali permettono di confrontare corsi di studi diversi, quelle disciplinari permettono di mettere a confronto corsi di uguale natura. Il TEst delle COmpetenze trasversali ( TECO-T) realizzato dall’Anvur è in linea con altri programmi su larga scala, gestiti dalle organizzazioni internazionali, che permettono di confrontare l’apprendimento degli studenti e quindi, in generale, l’efficacia delle politiche scolastiche non sono a livello italiano.

Ma la principale novità introdotta nel progetto TECO riguarda la creazione di prove per le competenze disciplinari, progettate dalle stesse comunità accademiche a partire dai curriculauniversitari. In breve, i gruppi disciplinari condividono gli Obiettivi Formativi Finali e Specifici, identificando i contenuti centrali che un laureando in quella classe di laurea deve raggiungere al termine del percorso di studi.

A oggi, filosofi, pedagogisti e professioni sanitarie hanno già realizzato le proprie prove disciplinari, mentre numerose altre aree disciplinari (Lettere, Psicologia, Medicina, Medicina veterinaria, Giurisprudenza e Ingegneria) stanno portandone a termine la realizzazione.

Le prove sono svolte al primo e al terzo anno della laurea triennale (o in un anno intermedio, nel caso delle lauree a ciclo unico come Giurisprudenza, Medicina o Medicina Veterinaria) allo scopo di ottenere indicatori che riflettano la formazione impartita direttamente (come nel caso delle prove disciplinari) o indirettamente (come nel caso delle competenze trasversali).

La differenza negli esiti a distanza di due anni mostra come la didattica universitaria non solo fornisce competenze disciplinari (e professionali), ma può anche continuare ad arricchire, per esempio, le competenze linguistiche. Questo risultato è particolarmente rilevante perché è noto che le caratteristiche degli studenti che entrano all’università – il tipo di scuola superiore frequentata e lo status socio-economico della famiglia – condizionino le aspirazioni accademiche e lavorative. La sperimentazione finora condotta dimostra, invece, che l’Università può ridurre la diseguaglianza sociale e svolgere il ruolo di ascensore sociale, aumentando anche le competenze trasversali.

Tra il 2017 e il 2018, sono state portate a termine due imponenti rilevazioni TECO su scala nazionale che complessivamente hanno coinvolto, su base volontaria, 53 Atenei e più di 22mila studenti di Fisioterapia, Infermieristica e Tecniche di Radiologia Medica. Le analisi delle prove disciplinari di un campione di 27 diversi Atenei hanno chiaramente messo in evidenza come la competenza acquisita sia significativamente migliorata dal primo al terzo anno. Altrettanto soddisfacente, anche se con ampiezza inferiore, è il progresso nelle prove trasversali: i risultati in comprensione di testi e matematica sono cresciuti nel corso dei tre anni di frequenza universitaria, sebbene non siano state oggetto specifico della didattica impartita. In altre parole, l’università non solo è in grado formare competenze disciplinari ma può migliorare anche quelle cognitive di base, rimuovendo gli effetti negativi di background familiare.

Ed è tuttora in corso in circa 39 Atenei, una terza rilevazione, aperta nel settembre 2019 e che si concluderà entro l’anno. Nel citato decreto 989, il numero di studenti che partecipano a percorsi di formazione per l’acquisizione di competenze trasversali oppure che partecipano a indagini conoscitive di efficacia della didattica diventa un indicatore che gli Atenei possono utilizzare per la valutazione dei propri risultati e, quindi, eventualmente beneficiare di ulteriori finanziamenti. Il secondo intervento riguarda la revisione del sistema di rilevazione delle opinioni degli studenti, aggiornando le schede in uso e introducendone una nuova per i dottorandi.

Alle domande dirette sono state preferite affermazioni con cui chi risponde può essere più o meno d’accordo, su una scala a 10 punti. Anche i contenuti sono stati aggiornati al contesto odierno in cui si cala l’esperienza dei rispondenti. I principali vantaggi dell’adozione di strumenti comuni per la rilevazione delle opinione degli studenti sono la comparabilità tra corsi con uguali caratteristiche e la possibilità di correggere eventuali distorsioni, per esempio dovuti al genere dei rispondenti o di quello del docente. In particolare, è noto che gli studenti tendono a giudicare più severamente le docenti e che le studentesse sono più generose nelle valutazioni, si può quindi riequilibrare questo squilibrio confrontando donne con donne e uomini con uomini.

In entrambi i casi, si tratta di azioni raccomandate dalle più recenti linee guida europee, emanate a Yerevan nel 2015, e già fatte proprie nel decreto ministeriale n. 06/2019 sull’accreditamento dei Corsi di studio. L’azione relativa all’analisi degli esiti degli apprendimenti favorisce una didattica centrata sullo studente e inoltre sostiene i processi di autovalutazione. In particolare, essa può agevolare l’inserimento iniziale degli studenti nel corso di studio, ricorrendo dove necessario agli Obblighi Formativi Aggiuntivi, cioè a 'corsi di sostegno' specifici, per esempio di lingua italiana, già previsti dal 2004. Inoltre, il rinnovato sistema di valutazione permette a docenti e studenti di monitorare i progressi ottenuti. Sulla base di queste osservazioni degli esiti, è possibile rivedere periodicamente il corso di studi al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi stabiliti.

Per quanto concerne la rilevazione delle opinioni degli studenti, essa favorisce la partecipazione attiva e offre un ulteriore strumento di autovalutazione dell’attività didattica, che può essere usato per migliorare l’offerta formativa. Nel decreto 989/19, si trova infatti riferimento anche a un indicatore relativo alla 'Proporzione dei laureandi complessivamente soddisfatti del corso di studio' tra quelli che gli Atenei possono scegliere nell’ambito dell’Obiettivo legato al servizio agli studenti.

Il sistema Ava si sta rivelando uno strumento molto utile alla governance di Atenei, Dipartimenti e Corsi di studi perché ha permesso di mettere in atto, nel rispetto dell’autonomia universitaria, azioni correttive per migliorare l’organizzazione e l’efficacia dell’offerta formativa.

L’adeguamento a questo sistema di valutazione oggettiva è stato a volte vissuto con difficoltà, anche per le novità introdotte, e si è probabilmente verificata una tendenza a dare troppo peso ad aspetti formali, a scapito di quelli sostanziali. Ma gli strumenti qui illustrati, andando a regime sul sistema nazionale, dovrebbero fornire nuovi elementi di giudizio sulla formazione universitaria guardando direttamente ai risultati.

Raffaella Id Rumiati è vicepresidente dell’Anvur
Paolo Miccoli è presidente dell'Anvur


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