L’umanità nello specchio dei robot
mercoledì 24 gennaio 2018

Al World Economic Forum in corso a Davos il Papa ha inviato una lettera in cui esorta i partecipanti e i loro governi a riportare l’uomo al centro dell’economia. In particolare colpisce un cenno, breve ma significativo, alla tecnologia: «L’intelligenza artificiale, la robotica e altre innovazioni tecnologiche – esorta Francesco – devono essere impiegate per contribuire al servizio dell’umanità e per proteggere la nostra casa comune piuttosto che il contrario, come purtroppo prevedono alcune valutazioni». In effetti di fronte all’impetuoso sviluppo della tecnologia molti entusiasti ritengono che l’umanità sia alle soglie vertiginose di un futuro di semidèi, mentre altri, compresi molti studiosi, invitano alla moderazione, ritenendo che uno sviluppo eccessivo delle tecnologie della mente (reti, computer, robot: insomma, tutti gli strumenti che elaborano informazione) possa disumanizzare le generazioni future.

La tecnologia suscita sentimenti ed emozioni forti e fa rinascere miti che si credevano tramontati: l’onniscienza e per suo tramite l’onnipotenza, e anche il mito plurimillenario dell’immortalità. La tecnologia può liberarci da alcune catene, ma può assoggettarci a nuove schiavitù e dipendenze, di cui si vedono oggi i segni inquietanti. In effetti, così come l’uomo costruisce gli strumenti per conoscere e modificare l’ambiente, allo stesso modo gli strumenti retroagiscono sull’uomo trasformandolo profondamente.

Viene così a crearsi un simbionte, un essere ibrido in cui biologia e artefatto interagiscono intimamente. Le tecnologie più avanzate, tra cui la robotica e l’intelligenza artificiale, sono impiegate non solo per rimediare a difetti o mutilazioni ma anche per indurre negli umani modificazioni deliberate e orientate al potenziamento, soprattutto delle facoltà cognitive. Persuasi che saper più cose sia sempre un bene, molti ricercatori lavorano indefessamente per potenziare la nostra mente o per riversarla in supporti artificiali, rinnovabili e riproducibili a piacere, preludendo a una sorta di immortalità impropria.

Si configura così l’avvento di due categorie di umani: quelli che avranno il denaro e il desiderio di potenziarsi e quelli che vorranno o dovranno restare al palo, con la prospettiva che i primi possano sottomettere e persino schiavizzare gli altri. Sono scenari agghiaccianti, che tuttavia debbono essere considerati per temperare la brama di profitto delle aziende, le ambizioni dei ricercatori e il desiderio incoercibile di novità del pubblico. Viviamo in un’epoca in cui tutto ciò che si può fare si fa e in cui il concetto di limite (etico, morale, religioso, sociale) ha perso ogni valore, tanto che i limiti sono considerati dalla tecnologia come ostacoli provvisori da superare; in cui alle macchine deleghiamo sempre più spesso le nostre attività, le nostre decisioni e tra non molto anche le nostre responsabilità; in cui di fronte allo strapotere dei nostri strumenti non sentiamo nemmeno più l’umiliazione di essere soverchiati dalla loro potenza, velocità e precisione. In un tempo simile bisogna guardarsi dalla tentazione di rifondare l’etica su basi essenzialmente utilitaristiche e non più solidaristiche, accrescendo le sperequazioni e le disuguaglianze, già tanto cospicue.

È proprio vero che un aumento delle conoscenze è sempre positivo? Non potremmo invece dedicarci allo sviluppo di attività che accrescano la bellezza e l’armonia tra gli umani e tra l’uomo e l’ambiente? In questo senso andrebbe rafforzata la nostra tendenza a svolgere attività gratificanti e inutili dal punto di vista del profitto ma utili per la nostra soddisfazione personale. Molti possono interpretare questo invito come regressivo o addirittura oscurantista, ma c’è da chiedersi piuttosto se non stiamo forse esagerando nell’altro senso, con conseguenze deleterie sull’ambiente e quindi sulla nostra stessa esistenza.

Ma perché questo sviluppo travolgente della tecnologia, la quale sembra animata da una volontà di potenza sua propria, che trascende e abbatte ogni nostra residua resistenza? Qualche ipotesi: l’avidità incoercibile dell’uomo; gli ormoni ribollenti dei ricercatori; la hybris e l’orgoglio che ci spingono a imitare Dio facendoci a nostra volta creatori del second’ordine; l’oscuro presentimento collettivo che la specie umana possa scomparire presto, presentimento che ci spinge a lasciare qualche segno del nostro passaggio sulla Terra: per esempio operosi e infaticabili robot che eseguano con precisione inimitabile e superumana un’imitazione più che perfetta della vita, però del tutto priva di senso.

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