Il lettore salvi la regina
sabato 2 novembre 2019

Poiché così hanno trovato scritto nella loro Legge: un re porrai su di te (Deut. 17.15) e non una regina
David Franco-Mendes, Il castigo di Atalia

Le comunità ideali nascono spesso dall’opera e dalla parola dei profeti. Movimenti carismatici, congregazioni religiose, ma anche movimenti politici, culturali, associazioni, nascono perché una o più persone, con doni profetici, le generano e le fanno crescere. Attorno a queste persone "speciali" si radunano poi altre persone, chiamate dalla stessa voce, che riconoscono ai fondatori un ruolo diverso e unico, e tendono a conformarsi alle loro personalità carismatiche. Queste comunità fondate da profeti non sono però le uniche comunità ideali o spirituali. Ce ne sono altre che nascono attorno a un patto e una regola. Sono queste realtà collettive che non vengono generate da profeti ma da una regola vissuta e tramandata di generazione in generazione.

Il movimento spirituale della seconda metà del Novecento ha conosciuto quasi esclusivamente comunità fondate da profeti, mentre nei secoli passati le comunità spirituali si costituivano più comunemente attorno a regole. Qui la personalità e il carisma del fondatore erano importanti, ma di più lo era la regola, perché consentiva che dall’individualità del fondatore si passasse all’equilibrio e alla sostenibilità della vita comunitaria, tanto che spesso le regole comunitarie erano prese tra quelle antiche già esistenti (benedettine, agostiniane...). In queste comunità-regola, il modello, l’esemplarità, non è costituito dalla persona del profeta ma dalla regola, che non coincide con la vita di nessuno eppure ispira e modella quella di tutti. Quando un nuovo membro arriva in queste comunità, il patto e la promessa consistono nel conformare la loro vita alla regola comunitaria, non nell’imitare il fondatore o il leader carismatico, come, di fatto, accade nelle comunità-profeta. La storia ci dice che le comunità-regola sono più resilienti e longeve delle comunità-profeta.

«Atalia, madre di Acazia, visto che era morto suo figlio, si accinse a sterminare tutta la discendenza regale. Ma Ioseba, figlia del re Ioram e sorella di Acazia, prese Ioas, figlio di Acazia, sottraendolo ai figli del re destinati alla morte, e lo portò assieme alla sua nutrice nella camera dei letti; lo nascose così ad Atalia ed egli non fu messo a morte. Rimase nascosto presso di lei nel tempio di YHWH per sei anni; intanto Atalia regnava sul paese» (2 Re 11,1-3). Il secondo libro dei Re, dopo il ciclo del re sanguinario Ieu, si sposta nel regno del Sud (Giuda) e ci mostra una regina, sanguinaria come Gezabele, che il testo ebraico (masoretico) ci presenta come sua madre (8,18). Atalia, donna della dinastia del Nord, interrompe la successione davidica in Giuda. Questa viene ripristinata grazie a un bambino salvato dalla morte da un’altra donna. La grande storia della salvezza è appesa al fragilissimo filo di un bambino – come Mosè, come l’Emmanuel, come Gesù. Questo bambino diventa l’oggetto e il soggetto di una insurrezione contro la regina Atalia, orchestrata da Ioiadà, un sacerdote del tempio di Gerusalemme.

La regina Atalia si accorge che nel tempio sta accadendo qualcosa di importante. Si reca lì e capisce: «Atalia si stracciò le vesti e gridò: "Congiura, congiura!"» (11,14). Il sacerdote Ioiadà rivela subito le sue intenzioni. La fa inseguire dai suoi uomini fino a casa sua: «Le misero addosso le mani ed essa raggiunse la reggia attraverso l’ingresso dei Cavalli e là fu uccisa» (11,16).
Per la teologia e per l’economia del racconto, la storia della sanguinaria Atalia si conclude qui. L’ordine è ristabilito, Ioas, un (presunto) successore di Davide, regna di nuovo a Gerusalemme. La scuola sacerdotale che ha steso l’ultima versione del Libro dei Re ha raggiunto il suo scopo teologico e narrativo. Ma noi non possiamo fermarci qui. Se vogliamo tentare uno sguardo meno ideologico su quei tristi secoli troppo lontani, dobbiamo scavare di più dentro il testo.
Non sono le vittime a raccontare le loro storie. Gli scartati, gli schiacciati, gli espulsi non riescono a dare la loro versione dei fatti. Nel mondo antico non erano le donne a scrivere i racconti dei quali erano protagoniste o comparse. E se li avessero scritti loro ci avrebbero raccontato cose diverse, molto diverse da quelle che leggiamo. Perché quando i maschi raccontano storie di potere dove protagoniste sono le donne quasi sempre proiettano su di esse le loro stesse dinamiche, malattie, parole che le donne reali non amano e non vogliono, se non quando sono costrette a diventare come i maschi. Le donne che hanno avuto e hanno ruoli di potere e di responsabilità in organizzazioni essenzialmente maschili conoscono queste tipiche resistenza e sofferenza, che a volte diventa talmente intensa e lunga da portarle a lasciare quei ruoli di comando. Ancora oggi nelle istituzioni e nelle imprese ci sono troppe poche donne non solo perché le donne non riescono ad arrivare nei ruoli di comando amministrati e gestiti da maschi; ce ne sono poche perché alcune che potrebbero non vogliono arrivare in quei luoghi stranieri e ostili, e perché alcune tra le poche che ci giungono scappano via per il molto dolore. Le buone battaglie del femminismo di oggi e di domani dovranno concentrarsi non solo sulle quote di donne nei luoghi del potere, ma nella trasformazione antropologica e relazionale di quei posti pensati e abitati da soli uomini in luoghi vivibili e possibili anche per le donne. Questo lavoro, che richiede un grande investimento culturale e teorico nelle scienze economiche e manageriali, sta diventando ogni giorno più urgente.

Innanzitutto il nome: Atalia significa "YHWH è esaltato". Diversamente da Gezabele, Atalia non era una idolatra. Non è poi difficile appurare che la struttura narrativa della storia di Atalia è costruita artificialmente per farla assomigliare molto a quella di sua "madre" Gezabele. È un racconto "a specchio". Come Gezabele aveva sterminato i profeti di YHWH, Atalia stermina la famiglia reale; lì un profeta Obadia aveva nascosto e salvato cento profeti dallo sterminio di Gezabele (1 Re 18,13), qua una donna (Ioseba) ha nascosto e salvato un bambino dalla strage di Atalia; Gezabele si affacciò alla finestra per vedere il nuovo re usurpatore (Ieu) e viene uccisa, Atalia si affaccia nel tempio ("guardò") e anch’essa viene uccisa. Non stiamo allora forzando troppo il senso del testo biblico se diciamo che la crudeltà di Atalia è essenzialmente una crudeltà "teologica", una cattiveria costruita letterariamente da chi aveva come intento principale ristabilire la continuità davidica, cancellando la parentesi rappresentata da una regina straniera del Nord, della famiglia nemica di Omri. Atalia era una donna del nord, ritrovatasi regina in seguito ad alleanze politiche. Fu l’unica donna a diventare sovrana nella storia del Regno di Israele. Era vedova, e suo figlio era stato assassinato da un re usurpatore del Nord. Noi non possiamo più immaginare come dovesse essere la vita di una donna, regina e vedova, in quel mondo di maschi. Quante e quali pressioni, minacce, gli sguardi violenti, i ricatti. Se quelle pagine dei Libri dei Re le avesse scritte Atalia o qualche sua sorella, forse ci avrebbero raccontato che Atalia non fece uccidere nessun bambino, perché le stragi degli innocenti sono una specialità tipica dei maschi e delle loro fantasie letterarie.

La Bibbia, lo sappiamo e lo abbiamo detto molte volte, conosce pagine splendide sulle donne. La storia di Atalia non è però tra queste. Quella regina del Nord fu, con ogni probabilità, eliminata da una congiura dei sacerdoti del tempio – e non è da escludere che quel grido «congiura, congiura» sia tra le poche parole originali rimaste nel testo. Atalia era una persona scomoda in Giuda, perché originaria del Nord e ancor più perché donna. Può anche darsi che Atalia fu cambiata e pervertita dal potere al punto di diventare come i re maschi e così ordinare quella strage degli innocenti. Io non lo credo, e penso invece che dobbiamo leggere questa storia di Atalia con la stessa pietas con cui si legge la storia di una vittima, non con lo sdegno con cui leggiamo le vicende dei carnefici. Perché la Bibbia non è un libro di cronache storiche. È un testo che ci chiede sempre di entrare dentro le storie che leggiamo, di fare la nostra scelta, di dire da quale parte vogliamo stare. In genere, quasi tutti, stanno dalla parte dei redattori del testo, e quindi col sacerdote Ioiadà, e con lui condannano Atalia, la sanguinaria. Quasi tutti.

Jean Racine, nella sua splendida tragedia Athalie (1691), fa apparire in sogno il bambino Ioas alla regina, che la trafigge con una spada. Un suo consigliere, saputo del sogno, spinge Atalia a uccidere il bambino. Ma lei fa chiamare il piccolo, parla con lui, resta colpita dalla sua intelligenza, e non lo uccide. Quella clemenza, quella pietas di madre nei confronti di un bambino, decretò più tardi la sua morte. A volte sono gli artisti, soprattutto i più grandi, a donare alla Bibbia e ai suoi personaggi quella umanità che i suoi redattori non sempre possiedono. E se vogliamo salvare la Bibbia dalle sue pagine meno luminose e qualche volta buissime, la dobbiamo leggere in compagnia degli artisti, che, senza moralismi, l’hanno aiutata a diventare migliore.

Prima e dopo la morte di Atalia, il sacerdote Ioiadà celebra l’alleanza ristabilita, e lo fa in due fasi. Prima dell’uccisione di Atalia, «Ioiadà fece uscire il figlio del re e gli consegnò il diadema e la testimonianza; lo proclamarono re e lo unsero. Gli astanti batterono le mani e acclamarono: "Viva il re!"» (11,12). Al bambino, consacrato re, viene consegnata la "testimonianza" (edut), forse una copia della Legge di Mosè, il sacramento dell’alleanza e della promessa. Nella scena non ci sono profeti, non c’è Eliseo; tutto si svolge nel tempio all’insegna dell’alleanza. Nella Bibbia i momenti di fondazione sono segnati spesso dall’azione dei profeti. Qualche volta, come in questo caso, è invece un patto che consacra alcuni passaggi decisivi della vita del popolo e delle comunità, a cominciare dall’Alleanza con YHWH celebrata da Abramo e da Mosè. Poi, dopo aver assassinato Atalia, «Ioiadà concluse un’alleanza fra YHWH, il re e il popolo, e così pure fra il re e il popolo» (11,17). Il nuovo patto è concluso. E questo patto, per lo scrittore, è più importante del sangue di Atalia, è più importante di tutto.

«Tutto il popolo della terra era in festa e la città rimase tranquilla: Atalia era stata uccisa con la spada nella reggia» (11,20). La città «rimase tranquilla». Ma noi non possiamo "restare tranquilli" di fronte a una donna «uccisa con la spada nella reggia». Non ci bastano la teologia e l’economia del racconto. Abbiamo il dovere di provare a salvare Atalia. Perché se non facciamo questo esercizio spirituale mentre leggiamo queste pagine, difficilmente proveremo a salvare le tante Atalie che continuano a essere condannate solo perché donne, solo perché vittime.

l.bruni@lumsa.it

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: