La lezione di Jorge Lorenzo: accettare i propri limiti
sabato 16 novembre 2019

Jorge Lorenzo è un motociclista di talento, spagnolo, un campione: nella sua carriera ha vinto 5 mondiali, due nella categoria 250, tre nella MotoGp, la “classe regina” delle due ruote a motore. E’ uno dei rivali storici dell’italiano Valentino Rossi. A 32 anni Lorenzo ha deciso di smettere di correre. Succede, a quell’età, per uno sportivo, anche se non così spesso.

Rossi, per restare in tema, a 40 anni sfreccia ancora, e chissà quando smetterà. Il fatto è che lo spagnolo da un po’ non corre più come prima. Da quando? Più o meno dall’ultimo incidente, nel giugno 2019. Non è stata l’unica volta che si è fatto male - non sarebbe un campione delle moto –. Anzi: proprio Lorenzo detiene uno di quei record tipici per sportivi di tale tempra: qualche anno fa è tornato in pista a meno di due giorni da un intervento in anestesia totale. Ora è diverso. L’ultima volta l’ha vista più brutta del solito, avendo il colpo interessato la colonna vertebrale. Lo ha persino ammesso: dopo quell’incidente ho cercato più di non farmi male che di andare veloce.

Succede, dunque. Non sempre, ma quando accade è giusto applaudire.

In un’epoca in cui l’esaltazione dell’impresa che travalica ogni limite è la regola per i campioni, mentre tra gli sportivi del weekend l’emulazione diventa spesso imprudenza, chi trova il coraggio di fermarsi accettando di fare i conti con la paura, andrebbe celebrato. Lorenzo è un po’ l’alpinista che scruta il cielo e a un passo dalla vetta decide di rinunciare: l'esperienza ha trasformato gli obiettivi. Anche la prudenza è una virtù, anche per fermarsi serve coraggio.

Resterà il dubbio che il campione abbia solo trovato una scusa perché campione non riusciva più ad esserlo. Ma che importa? Quando ci si ferma e si scende, non conta più ciò che si perde, ma quello che si trova o che riserverà il tempo. “C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre di famiglia”, scriveva più di un secolo fa Charles Péguy, aggiungendo che gli altri avventurieri al confronto “non corrono alcun pericolo”. Ma questa è tutta un’altra corsa.

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