Milano e Torino, vicine lontanissime
sabato 21 luglio 2018

A separare Torino e Milano ci sono 140 chilometri di autostrada e un oceano di pensieri, di sentimenti, di modi d’essere e di sentire che viaggiano in parallelo. Cioè destinati a non incontrarsi mai, tantomeno oggi all'ombra dei cinque cerchi olimpici, alla vigilia della decisione sulla candidata italiana ai giochi 2026. Due città, pardòn metropoli, troppo vicine per potersi ignorare e troppo lontane, nel rapporto con il mondo e con se stesse, per imparare ad amarsi. Distantissime persino nel disegno di chi le ha pensate. L’una tutta stradone e incroci ad angolo retto, l’altra costruita in cerchi concentrici che dovunque vai, finisci per puntare al centro. Il fiume e le piazze a definire la sobrietà e l’eleganza subalpina, la Galleria e la metropolitana a rappresentare l’orgoglio e l’efficienza ambrosiana.

Poche affinità anche nel vocabolario e nelle espressioni gergali. Puntelli, colonna sonora, respiro verrebbe voglia di dire, di un reciproco disamore. Un retroterra di vicendevole antipatia condito di diffidenze e paranoie, di luoghi comuni e distaccata superiorità, di malcelati pregiudizi spacciati per buona educazione, che sembra non finire mai. Basta un giro sui social per averne conferma. Per molti milanesi Torino è rimasta la città che si alza all’alba delle mattine grigio fabbrica e va a dormire appena scende il buio. E tra i turisti che dopo le Olimpiadi, perché all’ombra della Mole esiste uno spartiacque tra pre e post Giochi invernali 2006, affollano i musei e i caffè eleganti, raramente trovi un ambrosiano.

Cambiando l’ordine degli addendi il discorso non cambia. Vista da Torino, Milano è sbruffona e un po’ rozza, malata di efficienza e di business, che persino sulla scala mobile devi spostarti a destra per non fermare la corsa di chi ha fretta. Una metropoli onnivora con la spiacevole abitudine di fare shopping, dal verbo "scippare", nell’argenteria lucidata di fresco in riva al Po. L’ultimo esempio è il Salone del libro ma vogliamo parlare di "Settembre musica", trasformato in un ibrido mix ribattezzato oltretutto MiTo anziché ToMi?

Così non stupisce affatto che nel decidere la candidata italiana alle Olimpiadi 2026 Torino e Milano siano fieramente, orgogliosamente, contrapposte. Persino troppo. Tra le condizioni che appesantiscono il via libera del Consiglio comunale torinese, c’è infatti il vincolo a limitare le sinergie alle sole località dell’area metropolitana. Che tradotto in italiano, significa "mai con Milano". «Non capisco perché – ha spiegato la sindaca Chiara Appendino – dovremmo dire sì a un’alleanza svantaggiosa e di cui non abbiamo bisogno». Sullo sfondo, la necessità di un accurato studio sul rapporto tra costi e benefici ma anche il vantaggio della recente, e di successo, esperienza olimpica, la presenza di impianti ancora utilizzabili, compresi quelli abbandonati, il nuovo fascino sportivo della città dopo l’arrivo di Cristiano Ronaldo. Oltre, ovvio, alle montagne vicine.

Anche il Consiglio comunale di Milano ha detto sì alle Olimpiadi, ma senza distinguo, con due soli astenuti, espressione dei 5 Stelle. Perché oggi ad alimentare ancora di più lo scontro tra Milano e Torino, anzi in questo caso tra Torino e Milano, è il rapporto, privilegiato da una parte, pieno di ostacoli dall’altra, con il governo centrale. Se il capoluogo subalpino infatti è stato una sorta di antipasto al successo grillino del 4 marzo, quello ambrosiano rimane uno degli ultimi baluardi di una maggioranza di centrosinistra che nel Paese non esiste più. «Finora non ho visto da parte dell’esecutivo l’attenzione che la città merita – ha detto il sindaco Beppe Sala –. Chiedo rispetto per Milano e credo che la designazione olimpica possa essere il banco di prova». E a sostegno della candidatura porta, oltre al richiamo di località come la Valtellina e Saint Moritz probabili sedi di gare, la recente prova Expo, dimostrazione che la città sa gestire manifestazioni di portata mondiale.

Un derby non solo sportivo-sociologico-culturale ma anche politico quindi. Che mentre attende le valutazioni del Coni e il responso del governo, sembra non tenere in conto, o comunque considerare poco, la terza candidata, la bellissima Cortina d’Ampezzo, scelta che non dispiacerebbe alla Lega, anima verde dell’esecutivo. Vada come vada, vinca Torino o Milano, o perdano entrambe, una sola cosa è certa: la rivalità è destinata non a diminuire ma a crescere.

Non aspettiamoci un passo di una verso l’altra né una rinuncia in nome dell’interesse comune, per conto di una solidarietà nazionale se non culturale almeno economica e sportiva. Né ci saranno, se non a denti stretti, complimenti reciproci in caso di vittoria o abbracci di fronte alla sconfitta comune. Per tanti milanesi Torino rimarrà comunque una metropoli in minore, premiata soltanto dalla contingenza politica. Dall’altra parte per molti torinesi, come diceva lo scrittore, Milano continuerà ad avere un unico posto da amare davvero: la stazione. Dove si prende il treno per tornare a casa.

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