Lo sviluppo della finanza sostenibile: eppur si cambia
sabato 11 novembre 2017

La "Settimana degli investimenti sostenibili" promossa, come ogni anno, dal Forum per la finanza sostenibile, è stata un’occasione per verificare gli enormi progressi del settore, che sta ormai diventando un nuovo e positivo "paradigma". E per lanciare l’allarme affinché il rischio rappresentato dalla bolla finanziaria prossima ventura si trasformi in un’opportunità.

Come è noto, il "voto col portafoglio" è uno strumento con il quale i cittadini possono potenzialmente cambiare il mondo e orientare il sistema economico verso il bene comune, premiando con le loro scelte le aziende responsabili, ma esso deve superare quattro grandi ostacoli per essere efficace: la mancanza di consapevolezza, la mancanza d’informazione sulla responsabilità d’impresa, la difficoltà di coordinare tante piccole scelte e la differenza di prezzo tra "prodotto sostenibile" e, diciamo così, "prodotto ordinario". La natura dei quattro ostacoli spiega perché in questi anni la finanza responsabile ha fatto molti più progressi del consumo responsabile. In finanza il problema della consapevolezza, dell’informazione e del coordinamento delle scelte è risolto da intermediari specializzati (i fondi etici) che lavorano per conto dei risparmiatori aggregando naturalmente le decisioni di questi ultimi in un’unica volontà. Numerosi studi scientifici in materia hanno inoltre dimostrato che i fondi etici hanno rendimenti corretti per il rischio, non diversi da quelli dei fondi tradizionali e quindi il quarto ostacolo (il differenziale di prezzo) è anch’esso superato.
L’esplosione di questi fondi è stata inoltre aiutata dal fatto che i mercati finanziari hanno iniziato a premiare la responsabilità ambientale. Rendendosi conto che le aziende che non la esercitano si espongono a un grave fattore di rischio. Se Tesla vale più di Ford non è per gli utili attuali o per il volume di macchine vendute oggi, ma per le aspettative che i mercati finanziari hanno su utili e vendite di domani.

Se tutto questo è vero, possiamo fare molto di più perché quest’energia positiva acceleri il cambiamento. Gli italiani si sono dichiarati nel 2017 molto più propensi a scegliere la finanza responsabile rispetto al 2013, ma le caratteristiche della regolamentazione e i comportamenti degli intermediari non paiono ancora adeguati. La profilatura dei clienti realizzata (con la Mifid) attraverso complessi questionari dovrebbe infatti includere informazioni sulla propensione all’investimento responsabile. Inoltre la disponibilità potenziale dei risparmiatori non si tradurrà in un pari ammontare di investimenti effettivi senza l’adeguata formazione e sensibilizzazione del canale della distribuzione dei fondi. I fondi d’investimento assomigliano in questo un po’ ai farmaci. Il cliente non ha tutte le informazioni e/o le competenze per scegliere ed è l’esperto di fiducia, il "dottore", che fa la prescrizione che in genere il cliente rispetta.

Infine, un accenno alla bolla e all’allarme da trasformare in opportunità. Come è noto il nostro sistema bancocentrico fatto prevalentemente di grandi intermediari che massimizzano il profitto è restio a prestare (ancor più con i requisiti progressivamente più severi imposti dalla Bce) alle piccole e medie imprese. I dati lo confermano impietosamente perché la variazione dei prestiti al settore produttivo ha ripreso ad avere segno più per le imprese medio-grandi, ma continua a mostrare il segno meno dal 2007 a oggi per le piccole. L’introduzione dei Piani individuali di risparmio (Pir) è stata un’ottima idea per far incontrare la generazione degli adulti e degli anziani e il loro risparmio liquido ben patrimonializzato con quella dei giovani senza patrimonio e di chi cerca di creare lavoro e valore. Con l’esenzione fiscale sui guadagni in conto capitale un’enorme massa di denaro si è riversata verso l’obiettivo dei Pir, che per il 21% deve essere rappresentato da piccole e medie imprese quotate in Borsa.

Poiché il numero di queste ultime è limitato, e sino a oggi le nuove quotazioni non sono state molte, i prezzi delle aziende quotate beneficiarie sono lievitati indicando che un fiume di liquidità troppo grande si sta riversando in un canale tutto sommato limitato.
Alla Settimana Sociale dei cattolici di Cagliari è stato proposto e consegnato al premier Gentiloni un emendamento alla manovra 2018: esso prevede che parte di queste risorse sia canalizzata verso strumenti e veicoli che investono in capitale di rischio di piccole e medie imprese non quotate con le opportune protezioni dal rischio. L’esempio viene dal Regno Unito, dove i risparmi degli Individual Saving Account (equivalente dei nostri Pir) si dirigono anche verso l’equity crowdfunding, che consente a tanti piccoli azionisti di acquistare piccole quote di capitale. E dallo sviluppo dei fondi impact, cresciuti in Europa da 20 a 98 miliardi tra il 2013 e il 2015, che indirizzano i risparmi verso progetti ad alta responsabilità sociale e ambientale. Una parte dei risparmi dei Pir può e dovrebbe essere inoltre investita in fondi e/o strumenti di finanza etica (come i green bonds) per accelerare la pressione verso il cambiamento in direzione della sostenibilità.

Mentre continuiamo a leccarci le ferite del recente passato (la distruzione di risparmio delle banche venete) abbiamo l’opportunità, con le prudenze e accortezze del caso, di trasformare un nuovo rischio in una grande opportunità diversificando maggiormente le direzioni d’impiego dei risparmi versati nei Pir. È un’occasione da cogliere.

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