domenica 22 febbraio 2009
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Solo a sussurrarle con pudore, alcune parole evocano immani tragedie che la storia, anche recente, ha consegnato ad alcune delle sue pagine più nefaste. Se è giusto non volgere continuamente lo sguardo al solco del passato, ed essere in­vece più attenti ad arare il terreno che ci sta dinanzi gettando del buon seme per il domani, la fretta di archiviare ciò che è accaduto talora tradisce la voglia di non imparare la lezione che la storia ci im­partisce. Così, la messa al bando di paro­le come 'eugenetica' assume il compito di esorcizzare il tempo presente dagli spettri di cattive idee che riteniamo essere già sepolte insieme a coloro che le han­no diffuse o praticate. Ma le cattive idee sono più pericolose degli uomini cattivi perché talora sopravvivono alla morte di questi ultimi, si lavano dalle vistose mac­chie di violenza e di sangue che le hanno originalmente segnate, e acquistano una nuova, falsa identità che consente loro di circolare pressoché indisturbate nella so­cietà odierna. Sembra essere, questa, la vicenda della parola 'eugenetica', che è la lunga «sto­ria di una cattiva idea», come l’ha defini­ta Elof Axel Carlson. L’idea, cioè, che la dignità di una donna o di un uomo di­penda dalle proprie qualità congenite, dalla capacità di svilupparsi in un sog­getto sano, robusto, intelligente, comu­nicativo, in grado di inserirsi con succes­so nella società, contribuendo al suo be­nessere con la propria attività e non gra­vandola di oneri assistenziali. Persone o categorie di persone che hanno meno va­lore di altre a motivo delle loro origini o del loro stato di malattia, handicap, op­pure suscettibilità a disordini fisici e com­portamentali, la cui vita viene definita 'i­nadatta', 'indesiderabile' o 'non degna di essere vissuta'. Occorre distinguere tra la genetica uma­na, preziosa scienza dell’ereditarietà e dell’informazione biologica, e l’eugene­tica, deplorevole ideologia della selezio­ne degli esseri umani. Benedetto XVI lo ha fatto lucidamente e incisivamente nel suo discorso di ieri agli accademici pon­tifici. Da una parte, la genetica «ha con­tribuito al prodigioso sviluppo delle co­noscenze sull’architettura invisibile del corpo umano e i processi cellulari e mo­lecolari che presiedono alle sue molte­plici attività».Grazie a «queste cono­scenze, frutto dell’ingegno e della fatica di innumerevoli studiosi», è oggi possibile «una più efficace e precoce diagnosi del­le malattie genetiche» e si intravedono anche nuove «terapie destinate ad alle­viare le sofferenze dei malati». Ma vi è anche un’altra faccia della meda­glia al valore. Mentre è da tutti condivisa «la disapprovazione per l’eugenetica uti­lizzata con la violenza da un regime di Stato» – osserva il Santo Padre – si «insi­nua una nuova mentalità», talora chia­mata 'eugenetica liberale', volta a di­scriminare l’essere umano «in presenza di un difetto nel suo sviluppo o di una malattia genetica». Ciò porta i genitori, con la complicità di alcuni medici, alla «selezione e al rifiuto della vita in nome di un ideale astratto di salute e di perfe­zione fisica». Anche in questo caso – con­clude il Papa – a far da padrone sulla vita è «l’arbitrio del più forte». Riconoscendo in essa una strada verso la conoscenza dell’immenso mistero del creato e una grande possibilità di servi­zio al bene comune, la Chiesa nutre profonda stima verso la scienza, rispetta e promuove l’uso di un corretto metodo scientifico, e incoraggia le buone appli­cazioni delle sue scoperte alla diagnosi e alla terapia medica. Al tempo stesso, però, la Chiesa non può tacere di fronte alla ri­nascita, sotto diverse spoglie, di un pen­siero e di una azione che, appellandosi a effettive o presunte conoscenze scienti­fiche, discriminano l’uomo e lo umiliano, lui, l’unica creatura che porta in sé la co­scienza di tutto l’universo. Una cattiva idea, l’eugenetica (di stato o privata che sia), perché esalta il potere dei più forti sui più deboli, dei nati sui non ancora nati, dei genitori sui figli, e dei sani sui malati.
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