martedì 1 dicembre 2009
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È parroco ai Quartieri Spagnoli, don Mario Ziello. Vuol dire che spende la vita per annunciare il Vangelo a quei poveri da sempre prediletti di Gesù. Don Mario si è inventato la vita, il ministero giorno per giorno, ritrovandosi a fare e pensare cose che non aveva mai messo in conto. Mentre insegnava ai poveri si è accorto che, invece, si era posto alla loro scuola. La scuola dei poveri. Poveri di cose, ma soprattutto di libertà. Libertà: per donarla Gesù è morto. Dev’essere – la libertà – l’unica cosa per la quale vale la pena vivere se finanche il Signore la rispetta in pieno. Per innamorarci al Padre fa di tutto: chiede, implora, si trasforma in mendicante, crea mille occasioni, mette sulla tua strada persone che ti fanno toccar con mano l’invisibile Dio. Anche nel dolore si presenta e sussurra. Sussurra, ma non impone mai. Vuole uomini innamorati, non mercenari. E in cambio dona libertà. Chi l’ha provata un giorno non ne può fare a meno. Si può restar digiuni, vivere in una stamberga, indossare abiti dimessi da altri. Mai si può rinunciare a essere liberi. Ma non te la perdonano. Mille mani si agitano per tirarti giù quando si accorgono che ti elevi verso la libertà. Napoli porta con sé un destino amaro. Ti ritrovi contro chi non ti vuole bene, ma ti sta contro anche chi ti tiene nel cuore. Lo fa per il tuo bene. Per il bene della tua famiglia. Per il bene del bene che stai facendo. Così dicono, almeno. E invece non è così, mai menzogna fu più grande di questa. Menzogna che a furia di essere ripetuta finisce con l’essere creduta da tutti. Questa menzogna si è propagata fino ai giorni nostri, e su un simile terreno insano, a queste acque paludose, si sono abbeverati gli alberi, diventati una foresta con un nome che fa paura: camorra. Una foresta di «malaffare, prepotenza, violenza, barbarie di quanti non meritano di dirsi napoletani, anzi, agiscono contro Napoli». L’ha detto ieri sera il cardinale Sepe, facendo suo il «grido di dolore per l’offesa ripetuta e continua che si fa alla nostra bella e amata Napoli». Ma quando una cosa è fatta una due, tre, mille volte finisce con l’essere normale. È normale che qui si paghi il pizzo, normale che chi costruisce o ristruttura un fabbricato debba pagare. È normale. Chi osa denunciare, quindi, non merita elogi ma disapprovazione. Anche dagli stessi amici, da chi gli vuole bene. Denunciare, sì, e poi? Sarai lasciato solo. E ai Quartieri le notti sono lunghe, i vicoli tortuosi. Non è meglio fare un po’ di bene ai tuoi poveri senza andar per il sottile? Don Mario, non è meglio continuare a dire Messa, fare catechismo, dar da mangiare ai poveri che numerosi ti affollano la chiesa? Paga, e fa finta di non vedere. Paga: hanno pagato tutti. E altri pagheranno ancora. Non è che ti vuoi mettere in mostra? E lui, fermo come una roccia: non pago – ha detto domenica dall’altare – sono i vostri soldi. Don Mario sente che non cedere, non abbassarsi è un dovere. Ne va della sua libertà, la stessa per la quale il suo Signore è morto. Se si abbassa oggi – lo sa – non avrà il coraggio poi di salire sul pulpito a predicare, annunciando una Parola che non è sua. La parola che ci salva ci brucia sulle labbra. Dolce è più del miele. È acqua eppur ci annega. Balsamo che inquieta, tormento che ristora. Si predica in mille modi. I predicatori della Parola che brucia lo sanno: mentre passa attraverso il cuore e la voce, sentono che gli brucia le viscere. Si predica bene solo quando la parola non contraddice l’esistenza. Ti può chiudere la bocca unicamente il peccato e la paura di fronte a situazioni difficili. Vero è che il coraggio chi non ce l’ha nemmeno se lo può dare, ma il Signore che ci manda ha fatto una promessa. E Lui mantiene sempre ciò che da detto. «Io sono con voi tutti i giorni. Siate semplici come serpenti e prudenti come colombe. Neppure un capello del vostro capo perirà...». E il nostro san Giuseppe Moscati: «Ama la verità e mostrati qual sei senza infingimenti». A don Mario un grazie che sgorga dal profondo del cuore.
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