È l'infuriare della guerra a gridare la pace inevitabile
martedì 19 aprile 2022

Abbiamo ancora nelle orecchie e negli occhi il vibrante appello pasquale del Papa che chiede pace e, per iniziarla, una tregua immediata nei conflitti terribilmente aperti, a cominciare da quello nell’Ucraina invasa dalla armate russe. Ma facciamo un passo indietro, nella storia, per fare uno in avanti nella comprensione di una lunga e saggia coerenza di pace. «Con la guerra tutto si perde, tutto, non c’è vittoria in una guerra, tutto è sconfitto »: così papa Francesco all’udienza generale del 23 marzo 2022. Una frase che fa riecheggiare il discorso di Pio XII nell’agosto 1939, nell’imminente pericolo del secondo conflitto mondiale: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra». E come non ricordare san Giovanni Paolo II: «Mai più la guerra, avventura senza ritorno, mai più la guerra!».

Siamo davvero sull’orlo della Terza guerra mondiale? Quando da piccoli studiavamo storia mi colpivano due parole: 'scintilla' e 'armistizio'. Crescendo, qualsiasi accadimento nello scenario storico- politico mi sembrava potesse essere una 'scintilla' del gran fuoco bellico, ma poi il rischio, almeno qui, nel Vecchio Continente, veniva superato variamente da patti, accordi, trattati… Sembrava ormai scontato. E abbiamo finito per sottovalutare la dulcedo pacis, la dolcezza della nostra speciale condizione. Siamo stati distratti, troppo.

E nonostante che già in passato vi fossero stati focolai tragici, che hanno costellato i 70 e più anni di pace nell’Occidente europeo. Ma ecco che nel 2022, alle porte di casa, la guerra torna scandalosamente aperta e reca con sé ancora morti e sangue di uomini, donne e bambini innocenti, città distrutte, case sbriciolate, bombe e razzi dal cielo, da terra, da mare. E piovono anche ritorsioni economiche, le chiamiamo «sanzioni», che si allargano a cerchi concentrici, alimentando e prolungando la guerra, e questo provoca oggi più che mai in una realtà interdipendente e globalizzata fame e sofferenze anche in altri continenti. Poi, ecco i grandi piani di riarmo. Siamo molto lontani dallo «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri … una nazione non alzerà più la spada contro un’altra … non impareranno più l’arte della guerra».

Continua, e prende più forza, la corsa agli armamenti che può soltanto portare «infiniti lutti». Papa Francesco – che non cessa di stare accanto agli aggrediti, e il bacio a una lacera bandiera ucraina e la missione in Ucraina del cardinale elimosiniere Krajewsky l’hanno reso chiaro anche a chi non vuol vedere e non vuol capire – ha scandito anche di recente: «Tutto questo è disumano! Anzi, è anche sacrilego, perché va contro la sacralità della vita umana, soprattutto contro la vita umana indifesa, che va rispettata e protetta, non eliminata» e in altro discorso ha aggiunto: «L’uso delle armi nucleari è immorale – e questo deve essere detto nel Catechismo della Chiesa Cattolica ». Anzi, ha aggiunto, «non solo l’uso, anche il possesso».

Per questo la grande maggioranza degli Stati del mondo, all’Onu, purtroppo nel silenzio dell’Italia e di quasi tutta la Ue, ha deciso di dire no alla Bomba. Scriveva Giorgio La Pira: «La guerra come si concepiva nell’età preatomica è 'estinta': è una res nova, ora: perché, se avvenisse, distruggerebbe il pianeta». Di fronte ad armi nucleari e sofisticatissime, è necessario educare alla pace: «Non guerra inevitabile, ma pace inevitabile», argomentava, e non più «se vuoi la pace prepara la guerra», ma «se vuoi la pace prepara la pace». A differenza del greco eirene, il latino pax ha un contenuto concreto: è il patto. Il giurista romano Ulpiano ci offre l’etimologia di pactum e pax nel Digesto, parlando di «equità naturale».

Cosa dunque possiamo fare noi uomini 'di buona volontà'? Implorare, senza vergogna e umilmente la pace. E costruirla, con pazienza. Tutto il popolo, tutti i popoli devono essere operatori di pace. Le donne, storicamente paladine di pace, avrebbero potuto giocare un ruolo da protagoniste, invece in occasione della guerra in corso sembrano troppo assenti. E le tv italiane finanche nei programmi pomeridiani e in ore protette hanno addirittura spiegato le modalità per costruire le bottiglie molotov, esaltando i bambini- soldato e le bambine-soldato che le armano e imparano a usarle. Ora, forse, mentre l’orrore si fa immenso, e le arroganze belliche più forti, qualcosa anche nelle narrazioni comincia a cambiare. Il Papa ha indicato una strada: l’arma della preghiera, l’abbiamo visto implorare Maria, Regina della Pace.

«Del gran mezzo della preghiera», scriveva ancora La Pira, richiamando un libro di sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Preghiera e azione nonviolenta, sono possibili, alla portata di tutti. E sono necessarie, adesso. Ma i governanti e i giuristi che cosa possono fare? Abbiamo nella storia esempi rilevanti: sotto Augusto fu chiuso più volte il tempio della guerra ed elevata l’Ara pacis; Giustiniano parlava della scelta tra arma o leges, desiderando la pace per conservare la res publica. E i giuristi possono, sulle orme di Giorgio La Pira, sviluppare, nel pensiero e nell’azione, la sua teoria giuridica (e geopolitica) della «pace inevitabile».

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