La santità di papa Montini e la nostra via
giovedì 8 marzo 2018

Quante volte papa Paolo VI fu solo. Solo alla fine, quando ebbe il coraggio, quasi la sfrontatezza evangelica di chiedere ai brigatisti di liberare il suo amico Aldo Moro – altro uomo più solo che mai – così, semplicemente, senza nulla ricevere in cambio. Solo più volte, quando prese decisioni difficili che non si adeguavano allo spirito del mondo, e lo spirito del mondo scuoteva le spalle girandogliele. Solo anche quando decise che il nostro Paese aveva bisogno di un quotidiano di ispirazione cattolica, un unico strumento di informazione e opinione per tutti gli italiani, dall’impronta evidente ma con la vocazione a dialogare con tutti.

Papa Montini, in questo 2018 in cui sarà santo, solo non sarà. Ma tra tutti coloro che già corrono a festeggiarlo noi di "Avvenire" abbiamo la gioia e sì, anche l’orgoglio di trovarci in primissima fila. Perché noi siamo suoi figli, perché lui (in scarna e audace compagnia) ci ha voluti, perché pare proprio avesse ragione e la sua creatura non era poi così gracile come certe trombette laiche e cattoliche avevano annunciato – il bimbo non supererà la nottata... – e oggi, 50 anni dopo, ci siamo, abbiamo forza e dedizione e abbiamo lettori, tanti (e ne vorremmo sempre di più), che sono migliori di noi e ci aiutano a non acquietarci mai.

Figli, facile a dirsi. Ci sono figli che tradiscono i padri. Che ne disattendono le buone e legittime aspettative. Che figli siamo stati noi, in questo primo mezzo secolo? La Chiesa italiana ha attraversato stagioni mutevoli, e noi con lei. Ma qualcosa è sempre rimasto identico. Ed è il modo di guardare al mondo. Di ascoltarlo. E di raccontarlo.

Chi ha descritto il nostro stile alla perfezione non poteva essere che nostro padre, Paolo VI. Le radici sono nel suo stile pastorale, fin dai tempi della Fuci a Brescia, poi in Vaticano, e ancora alla guida della Chiesa ambrosiana, infine da Papa nella stagione formidabile del Concilio. Ma il testo dove meglio ritroviamo noi stessi è l’Evangelii nuntiandi, l’esortazione apostolica della fine del 1975 che tanto deve aver sussurrato al cuore e alla mente pure di padre Bergoglio, perché i suoi echi giungono nitidi anche nella nostra stagione con il magistero di papa Francesco.

Potevamo essere figliastri disgustati dal mondo corrotto, così lontano da Cristo, decisi quindi a contrapporci e combatterlo impugnando il Vangelo come verità che giudica, condanna e, se necessario, fa tabula rasa. Potevamo essere figliocci che cedevano alla lusinghe e allo spirito del mondo, tanto da annacquare l’ispirazione cattolica fin quasi a farla svaporare. Potevamo.

Siamo stati e siamo altro. Abbiamo amato e seguito l’impronta montiniana, e imboccato la via più ardua. La via del discernimento, dell’intelligenza, della fede anche come strumento «per amare quelli che non credono», come definivamo "Avvenire" ieri, e oggi per affermare in mondo ferito da crescenti aridità e disuguaglianze che «la consapevolezza cambia il mondo». La consapevolezza costruita insieme, informando con onestà, dicendo la nostra, ascoltando, dialogando: ciascuno forte della propria identità religiosa e culturale, un’identità che non ingabbia e non genera pregiudizio, ma è necessaria per un incontro vero, pulito e leale.

Siamo stati quel che Paolo VI, oggi beato e tra poco santo, chiedeva a tutti gli evangelizzatori, ossia i battezzati consapevoli di quel che comportasse la chiamata del Battesimo: evangelizzare è «trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità»; e «lo scopo dell’evangelizzazione è un cambiamento interiore», è «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e il disegno della salvezza». Magnifico programma. E magnifico programma editoriale, davvero.

E le culture? Anche quelle che appaiono aggressive, minacciose, da cui verrebbe voglia soltanto di difendersi, o aggredirle creando una sorta di «alternativa cattolica»? Paolo VI scrive parole definitive: «Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna». Culture, aggiungeva, che vanno «rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella».

È bello pensare che, facendo i conti con le nostre capacità e i nostri limiti, questo stiamo cercando di essere da mezzo secolo. Con una nuova, meravigliosa consapevolezza: se finora avevamo avuto un padre qui sulla terra, ora abbiamo anche un santo protettore lassù in Cielo.

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