domenica 22 dicembre 2013
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La figura a cui rimanda è quella di san Giu­seppe. Perché è lui, «così silenzioso e co­sì necessario accanto alla Madonna», e con la «sua premura per la sua Sposa e per il Bambino», il modello a cui fare rife­rimento, a dire «tanto sul nostro servizio alla Chie­sa». Un rimando in cui c’è tutto il senso del discor­so che Francesco ha voluto rivolgere ieri alla Curia romana, nel tradizionale incontro per lo scambio d’auguri natalizi. Rompendo uno schema pluridecennale, nel discorso di ieri il Papa non ha tracciato quello che comune­mente era definito il 'bilancio ecclesiale' dell’anno appena trascorso. S’è piuttosto concentrato sulla Cu­ria in sé, ossia sull’insieme di Dicasteri e uffici che quo­tidianamente gli sono accanto «nel servizio alla Chie­sa ». Quella Curia di cui ha ormai speditamente avvia­to la riforma, rispetto alla quale, come emerso sin dal­la prima riunione del Consiglio degli otto cardinali, all’inizio d’ottobre, «l’orientamento non è solo quel­lo di un aggiustamento della Pastor bonus ma di arri­vare a una nuova Costituzione che conterrà novità consistenti». E che intende mettere soprattutto in ri­lievo il compito di «servizio» della Curia, sia «alla Chie­sa universale che alle Chiese locali».
In questa tensione papa Francesco ieri ha voluto dun­que, intanto, delineare il profilo del curiale, identifi­cando in professionalità e servizio le caratteristiche di chi è chiamato a questa particolare missione. La pri­ma vuol dire «competenza, studio, aggiornamento», e costituisce il «requisito fondamentale» per lavorare nella Curia. La seconda, poi, è «servizio al Papa e ai Ve­scovi, alla Chiesa universale e alle Chiese particolari». E l’una non può fare a meno dell’altro, in quanto, «quando non c’è professionalità, lentamente si scivo­la verso l’area della mediocrità» e, d’altra parte, «quan­do l’atteggiamento non è di servizio alle Chiese par­ticolari e ai loro Vescovi, allora cresce la struttura del­la Curia come una pesante dogana burocratica, i­spettrice e inquisitrice, che non permette l’azione del­lo Spirito Santo e la crescita del popolo di Dio». Tutto chiaro. Francesco, però, ha poi citato una terza «qualità» del curiale. Decisiva. Quella santità della vi­ta che «è la più importante nella gerarchia dei valori». Santità, ha spiegato papa Francesco, che consiste cer­tamente in tutte quelle espressioni del proprio esse­re – «vita immersa nello Spirito, apertura del cuore a Dio, preghiera costante, umiltà profonda, carità fra­terna nei rapporti con i colleghi, apostolato, servizio pastorale discreto, fedele, portato avanti con zelo a contatto diretto con il Popolo di Dio» – che sono «in­dispensabili » per ogni prete. Ma nella Curia, ha ag­giunto, «santità» vuol dire anche «obiezione di co­scienza alle chiacchiere», così da «difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti che purtroppo è quella delle chiacchiere».
Un monito, ha avvertito, non solo «morale», perché le chiacchiere alla fine «dan­neggiano la qualità delle persone, del lavoro e del­l’ambiente». Non c’era forse modo altrettanto effica­ce per chiudere definitivamente quell’avvilente sta­gione che è stata chiamata vatileaks. Non c’era forse modo altrettanto chiaro per dire che nulla del genere potrà mai più essere.
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