Limiti di tempo e cellulare vietato a tavola per tutti
giovedì 1 giugno 2023

Se la massima autorità americana che si occupa di salute pubblica lancia un allarme sul tema social e salute mentale dei giovani, noi adulti non possiamo certo restare indifferenti anche se abitiamo a migliaia di chilometri di distanza. Anzi, sperimentando quotidianamente il rapporto dei nostri figli o dei nostri studenti con social e cellulari, ci viene facile applaudire all’iniziativa di Vivek Murthy, Surgeon general degli Stati Uniti. Al contempo, però, dovremmo ricordarci che anche ognuno di noi è chiamato a fare qualcosa. A questo punto, di solito, nascono i problemi. O meglio: le differenze. C’è chi vorrebbe vietare tutto e chi ha sempre meno voglia di discutere e litigare con i figli su questi temi. Alcuni invece si fermeranno al titolo del rapporto, «Social media e salute mentale dei giovani», leggendolo così. «I social fanno male alla salute mentale di bambini e ragazzi». In fondo siamo sempre lì, in bilico tra il farci guidare dalle nostre inevitabili preoccupazioni per tutto ciò che può portare danno ai nostri ragazzi e l’ammettere che di digitale non se sappiamo ancora abbastanza e quindi dovremmo spendere energie e tempo per informarci di più e meglio.

Nella sua relazione di 19 pagine, per esempio, il team di Murthy non ha detto solo «che i social fanno male alla salute mentale di bambini e adolescenti». Ci ha ricordato che «in America il 40% dei bambini tra gli 8 e i 12 anni usa i social» anche se non avrebbe l’età per farlo (cosa che in proporzioni molto simili avviene anche in Italia) e che spesso lo fa anche con la complicità dei genitori. Ha anche ammesso con grande onestà che nonostante bambini e adolescenti li usino tanto e nonostante esistano molti studi su quanto i social siano dannosi per alcuni di loro, non abbiamo ancora risultati ampi, definitivi e completi sull’impatto reale del digitale sui più giovani. Il motivo principale è che ci vogliono ancora anni di studio e di analisi per potere avere ricerche definitive su questi temi.

Quindi, penserà qualcuno, perché preoccuparsi? Per il cosiddetto principio di precauzione, quello che spesso sintetizziamo nella frase: «Prevenire è meglio che curare». Perché «anche se non abbiamo ancora prove sufficienti per stabilire se i social siano sicuri per loro, i nostri ragazzi non possono permettersi il lusso di aspettare anni prima di conoscere l’intera portata dell’impatto dei social media sulla loro infanzia e adolescenza. Il loro periodo di sviluppo sta avvenendo ora. E noi ci troviamo nel mezzo di una crisi nazionale per quanto riguarda la salute mentale dei giovani e temo che i social siano un fattore importante». Certo, bambini e adolescenti vengono influenzati dei social in modi diversi, «in base ai loro punti di forza e alle loro vulnerabilità individuali nonché in base a fattori culturali, storici ed economici». Ma anche se i social non fanno male a tutti e non allo stesso modo «e anche se possono fare bene ad alcuni» non possiamo non preoccuparci.

A questo punto a noi genitori, educatori ed adulti resta una domanda: cosa posso fare concretamente per aiutare e proteggere bambini e ragazzi? Murthy nel suo lungo rapporto dà anche dei consigli molto pratici a genitori e adulti. Il primo: mettete delle regole. «Bambini e ragazzi che usano i social per più di tre ore al giorno hanno il doppio delle probabilità di avere problemi di salute mentale, di ansia e di depressione». Per essere efficaci le regole però devono valere per tutti: bambini, adolescenti e adulti. Il secondo consiglio pratico è: vietate l’uso dei cellulari durante i pasti a qualunque componente della famiglia. Tra i tantissimi spunti del rapporto ci sembrano particolarmente importanti ancora due passaggi.

Il primo: «L’onere di proteggere i minori dagli effetti del digitale non può ricadere solo sui genitori, i quali non vanno lasciati soli in questo compito. Le aziende devono fare di più. La politica e l’intero tessuto sociale devono fare di più». Il secondo: «Dobbiamo non dimenticare che per alcune domande non abbiamo ancora risposte certe. Per esempio su quali contenuti e quali strumenti siano più dannosi per la salute dei nostri bambini e ragazzi». Non lo sappiamo ancora e quindi oltre che creare regole e farle rispettare dobbiamo sempre di più metterci accanto ai nostri ragazzi per avviare un dialogo che ci porti a conoscere meglio il digitale e loro. E dobbiamo farlo subito.

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