mercoledì 18 febbraio 2015
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C’è qualcosa di nuovo nell’anniversario del Concordato del 1984-85 che ricorre oggi e consiste nel contrasto tra la memoria d’un traguardo importante per la libertà religiosa nel nostro Paese e le grandi sofferenze che persone e nazioni intere patiscono per l’intolleranza e la violenza che continuano a riversarsi su di loro.La nostra è una memoria positiva. Nel 1985 il Parlamento approvò la riforma del Concordato con la Santa Sede, poi la Legge sull’amministrazione ecclesiastica che introduceva anche il nuovo sistema di finanziamento delle Chiese. A trent’anni da quella svolta, seguita da Intese con altre confessioni, e accordi sull’insegnamento religioso nelle scuole e sui beni culturali, possiamo dire che le relazioni ecclesiastiche in Italia poggiano su basi solide, e su un vasto consenso sociale. Quelle riforme hanno vissuto decenni di trasformazioni sociali e politiche senza essere scalfite nella sostanza, non hanno subito censure giurisdizionali, le rare volte che sono state oggetto di controversie, la giurisprudenza le ha confermate anche nei dettagli.Registriamo successivi sviluppi, con il riconoscimento del 2012 della Chiesa Ortodossa Romena che aspira a stipulare con lo Stato un’Intesa che soddisfi le esigenze di quasi un milione di ortodossi che provengono dal mondo dell’immigrazione. Infine, diversi Paesi europei, anche dell’area ex comunista, si sono ispirati al Concordato italiano per mutuarne punti essenziali, la collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese, il sistema di finanziamento per le attività religiose e sociali delle Confessioni, attivato sulla base delle scelte dei cittadini. Il modello italiano è divenuto di fatto punto di riferimento per una comune prospettiva europea di rispetto della libertà dei culti, e rifiuto di ogni conflitto o discriminazione confessionale.Le radici di questa impostazione sono nella Costituzione italiana, aperta a una visione positiva della laicità, che riconosce l’eguale libertà per tutte le confessioni. Alle religioni e alle Chiese lo Stato si presenta come Stato-comunità, che ha abbandonato le diffidenze del passato, e propone loro di partecipare alla vita collettiva con la propria identità, riconoscersi nei valori di libertà religiosa garantita a tutte le fedi, respingere ogni estremismo e fondamentalismo che costituiscono oggi il maggior pericolo per la società.L’impianto della legislazione ecclesiastica ha trovato il sostegno pieno della Chiesa cattolica, anche perché coerente con l’insegnamento del Concilio Vaticano II, e conferma la previsione di allora dei cardinali Agostino Casaroli e Achille Silvestrini, per i quali il nuovo Concordato avrebbe mantenuto a lungo fecondità e potenzialità. Le scelte di quegli anni hanno risolto questioni specifiche, connesse alla presenza storica della sede pontificia in Roma, col suo significato universale che si riverbera sull’Italia e il suo ruolo internazionale; ma delineano un orizzonte valido per le relazioni tra le religioni che affrontano oggi la dimensione della globalizzazione dei rapporti umani e istituzionali. Però, il contrasto tra la nostra memoria e la realtà odierna è enorme, perché l’anniversario del 1985 cade in un momento terribile per la libertà religiosa nel mondo, per l’attivazione di gruppi estremisti e terroristi che si fanno scudo della religione islamica per i propri fini, e uccidono, violentano, sequestrano e schiavizzano, persone e popolazioni nel vicino Oriente, in alcuni Paesi africani, spingendosi fino al cuore dell’Europa. Questa drammatica concomitanza deve far riflettere l’Europa e l’Occidente, a volte freddi e distaccati verso le proprie radici e identità cristiane, incapaci di elaborare una risposta comune nei confronti dell’uso violento della religione praticato da altri. La libertà religiosa è frutto di un lungo cammino storico, avviato nelle società antiche dal cristianesimo e giunto a compimento con le Costituzioni moderne, e richiede oggi il contributo di tutte le componenti sociali e culturali per garantire i diritti umani nel mondo, anzitutto ponendo un argine a quel regresso di civiltà provocato da alcuni settori dell’estremismo islamico. Ciò comporta una scelta strategica che comprenda la partecipazione delle religioni all’edificazione di uno Stato laico che sia la casa comune di tutti, capace di assicurare la convivenza di ogni fede e opinione. L’Italia ha saputo trovare la strada dell’emancipazione dall’intolleranza, come l’hanno trovata l’Europa e l’Occidente, ma questo approdo storico, nell’epoca dell’interdipendenza, non può essere patrimonio solo di alcuni Paesi e ordinamenti. L’esperienza totalitaria del Novecento ha insegnato che i diritti umani sono indivisibili, e che libertà religiosa è la prima tra tutte le libertà; oggi verifichiamo che se non diviene reale e operativa a livello internazionale, essa corre rischi dovunque. Il vescovo armeno-cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, ha parlato nei giorni scorsi a Roma nella Basilica di Santa Maria in Trastevere della drammatica situazione delle guerre del vicino Oriente, ha aggiunto con amarezza che i cristiani di Siria si sentono abbandonati, dimenticati, dall’Occidente. Più volte papa Francesco ha evocato l’urgenza di correre in soccorso degli aggrediti, di fermare i progetti di sterminio e cancellazione d’intere comunità cristiane (e non solo) dalle loro terre. Il contributo migliore che si può dare nel celebrare l’anniversario delle riforme realizzate in Italia è quello di prendere coscienza che l’impegno per la libertà religiosa supera oggi i confini di ogni nazione, ha carattere internazionale, chiede di salvare e aiutare le vittime di devastazioni e massacri che avvengono sotto gli occhi di tutto il mondo.
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