Liberi da tutti i debiti cattivi
sabato 6 febbraio 2021

L’Italia non ha bisogno di regali. Non serve e non sarebbe nemmeno giusto che qualcun altro cancellasse con un colpo di spugna il debito in eccesso frutto di scelte politiche irresponsabili, quasi sempre clientelari, fatte in massima parte e per uno scellerato decennio di ubriacatura contabile ormai quarant’anni fa. Non sarebbe anzitutto giusto che fossero altri cittadini europei – la 'next generation Eu' – a pagare il conto della miopia interessata di un’intera classe politica di cui si sono avuti saggi anche nel recentissimo passato.

E non servirebbe, a patto che il Paese torni a crescere a un tasso superiore a quello degli interessi che paghiamo sul debito. Debito che di stazza resta enorme, e lo sarà ancor di più dopo aver affrontato i morsi della pandemia alla carne viva della società: lavoratori, famiglie, imprese, persone fragili. Ma è pur sempre uno stock, un enorme blocco statico, mentre il Pil è un flusso, acqua fresca che scorre. Se lo fa più velocemente di quanto fluisca il fiume degli interessi (debito aggiuntivo), beh, allora il monolite addirittura si riduce. Automaticamente. Il corretto bersaglio da centrare, cioè, è proprio quello della 'mancata crescita'.

Che ci accompagna da troppo tempo. Il guaio è che oggi tutto ciò rischia di essere dannatamente più difficile proprio al 'denominatore' del fondamentale rapporto tra debito e Pil. Sopra la linea di frazione, infatti, ci sta pensando la Bce con la sua facilitazione monetaria a tenere a bada le rate del mutuo. La pandemia, invece, la crescita l’ha addirittura azzerata. Ha distrutto produzione, redditi – non le rendite – e scambi. Ha demolito soprattutto lavoro. Non solo in Italia, però. Chi parte da un arretrato di debito più alto è maggiormente penalizzato, certo. La necessità di aumentarlo con deficit di bilancio per puntellare la tenuta sociale è tuttavia condivisa ovunque in Europa.

Almeno quanto l’urgenza di affrontare l’emergenza sanitaria e poi ricostruire, spendendo bene e crescendo, quindi, meglio. Ovvero in modo più sostenibile per le casse pubbliche, più equo per i cittadini, più inclusivo per chi è in debito di opportunità.

È esattamente questo il quadro – e ancor prima l’orizzonte di senso – in cui si iscrive l’appello di 113 economisti europei pubblicato ieri, venerdì, da Avvenire, Le Monde, El Pais e The Irish Time. Il tema della cancellazione del 'debito da pandemia' ha iniziato del resto a suscitare un forte interesse pubblico in molti Paesi. Circolano diverse proposte, dal piano PADRE di Wyplosz fino ai titoli irredimibili garantiti dalla Bce di Giavazzi e Tabellini. Leonardo Becchetti ne ha declinata una, fra i primi, il 15 ottobre 2020 su questo giornale. Il dibattito – e questo è già un primo risultato – è così uscito dalle aule universitarie, circola nei corridoi delle istituzioni comunitarie e nelle cancellerie dei Paesi membri dell’Unione. Ha trovato le convinte argomentazioni del presidente del Parlamento europeo Sassoli.

Ha convinto persino un 'bond vigilante' della City a intervenire a favore sul Financial Times. Non entriamo qui negli aspetti tecnici e nelle conseguenti obiezioni su Trattati da rivedere o azzardi morali da impedire. Il cuore di tutte le proposte è semplice: un nuovo patto tra gli Stati europei e la Bce. L’Eurotower si impegna a cancellare il debito pubblico generato dalla lotta al nuovo coronavirus e alle sue conseguenze o a trasformarlo in titoli perpetui senza interessi, mentre gli Stati sono vincolati a investire lo stesso importo nella ricostruzione ecologica e sociale. A spendere cioè insieme quegli ulteriori 2.500 miliardi di euro 'liberati' in crescita sana.

La semplicità di questa prospettiva ha la forza significativa e significante del cambio di paradigma. O di narrazione economica, direbbe Robert Schiller: non ci si concentra tanto sul debito (come colpa) quanto sulla crescita (come possibilità).

Non prevale l’immagine di un singolo Paese cui 'condonare' a denti stretti le sue leggerezze da cicala, ma quella del formicaio costruito in comune da tanti Paesi. Anche a debito, se serve. Perché il debito, ha ben spiegato Mario Draghi nell’agosto scorso inaugurando il Meeting di Rimini, è come il colesterolo: c’è quello buono rivolto agli investimenti in capitale umano e sociale, infrastrutture cruciali per la produzione e ricerca; e c’è il debito cattivo usato, come spesso accaduto in Italia, per fini improduttivi o peggio elettorali. Ebbene: giunti al punto in cui siamo, quest’ultimo non ce lo possiamo davvero più permettere. Il primo banco di prova, per tutti e noi italiani in particolare, lo abbiamo davanti: è il Recovery Plan.

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