Liberare almeno dal carcere chi patisce disagio mentale
sabato 29 gennaio 2022

Caro direttore,

ancora una volta il tuo giornale si dimostra lettura imprescindibile, capace com’è di 'illuminare' luoghi e situazioni che solitamente sembrano interessare poco o nulla gli altri media. Mi riferisco specificamente all’articolo di Luca Liverani «Disagio psichico e 41 bis, quei messaggi sul carcere» ('Avvenire', 25 gennaio 2022). In effetti, la sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) che condanna l’Italia per aver trattato in modo inumano un detenuto con gravi problemi psichiatrici, ci mette con le spalle al muro.

Tutto nasce, come ricorda Liverani, dalla vicenda di Giacomo Seydou Sy, sofferente di turbe della personalità e bipolarismo. Una storia che mi ha particolarmente colpito e commosso, quando Loretta Rossi Stuart, la mamma di Giacomo, ha accettato due anni fa di renderla nota dai microfoni de 'La nuda verità', la trasmissione che conduco per 'Radio Radicale'. Già: perché la vicenda si trascina da anni, e rivela – al di là del caso singolo – una situazione che le istituzioni e la politica dolosamente, pervicacemente ignorano.

Non si entra assolutamente nel merito del reato che viene contestato, e neppure si mette in dubbio che vi sia una vittima; si dice 'solo' che le vittime sono almeno due, visto che si è accertata la malattia di Giacomo; ed è altrettanto chiaro che Giacomo ovunque deve stare, ma certo non in un carcere. Dove invece è stato recluso. L’importanza della sentenza della Cedu in questo consiste, e non certo nell’irrisorietà della cifra risarcitoria (36.400 euro per 'danni morali'). Il fatto mortificante è che si sia dovuti 'emigrare' in Europa, per ottenere un risultato elementare: il carcere non è un luogo per la cura e l’assistenza; e un malato affetto da disagio psichico accertato e certificato non può e non deve stare in una cella di penitenziario.

Da sempre sono convinta che i disturbi psichici sono nettamente più pesanti da sopportare e supportare di quelli fisici. In questo senso ho cercato, da parlamentare, di concentrare i miei sforzi e le mie energie, nella passata legislatura. Si era, allora, riusciti a realizzare proficue e preziose convergenze e sintonie, un comune sentire, un’autentica 'unione' capace di superare i diversi (e spesso opposti) schieramenti politici.

Purtroppo casi come quelli di Giacomo sono tutt’altro che isolati, come può confermare chiunque si occupa delle questioni legate al disagio mentale; e non è accettabile che le carceri siano 'discariche' come un tempo erano i manicomi, prima che venissero aboliti. Qui si apre un capitolo tutto da scrivere: perché dal 1978 (anno in cui si è approvata la legge 180) a oggi, sia pure con mille contraddizioni e ritardi, molti passi in avanti sono stati fatti, e soprattutto grazie a operatori intelligenti e pieni di volontà buona, che hanno saputo far fronte a innumerevoli lacune e assenze delle istituzioni. Più di recente sono stati aboliti di Ospedali Psichiatrici Giudiziari, anch’essi, quasi sempre, luoghi di pena e sofferenza e non di cura, al di là degli stessi operatori, lasciati soli e mandati allo sbaraglio. Ma non si è ancora provveduto ad assicurare quei 'luoghi' e garantire quelle risorse, quelle professionalità che si possano prendere cura dei malati: che certamente non possono essere abbandonati a loro stessi, come invece troppe volte accade.

Tanto occorre fare, e rapidamente: per evitare altre condanne della Cedu, ma soprattutto per evitare inutili e crudeli sofferenze ai malati e alle loro famiglie; e scongiurare che il malato possa fare, come purtroppo spesso accade, male al prossimo e a se stesso. È uno degli obiettivi dell’Istituto che presiedo. Conforta sapere che 'Avvenire' è sempre in prima fila in questa battaglia di civiltà.

Presidente Istituto Luca Coscioni

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